di Francesco Polizzotti – Da più di un anno sono in contatto con una famiglia di rifugiati siriani. La loro storia è quella di chi attende di tornare alle proprie case o di avere la fortuna di essere tra coloro che potranno accedere ad un corridoio umanitario per poter uscire dai campi profughi allestiti ormai da troppo tempo. A più di dieci anni dal conflitto che ha sconvolto il Paese, nulla sembra muoversi per dare serenità alle migliaia di rifugiati, diventati un peso anche per l’UNHCR. Tredici anni dopo lo scoppio della guerra in Siria, quasi sette milioni di siriani all’interno del Paese sono sfollati, in fuga dal conflitto e impossibilitati ad accedere a beni di prima necessità come cibo, alloggio, acqua e servizi igienici, riparo, servizi sanitari di base o lavoro.
Ciò che per noi occidentali è passata alla cronaca come “primavera araba”, per i siriani è stata guerra civile. Dopo un decennio di scontri sanguinosi il governo del presidente Bashar al-Assad è ancora al suo posto in un Paese devastato, con una crisi economica senza precedenti e una epidemia di colera scoppiata nell’estate 2022. Da quel 15 marzo 2011, il numero dei morti è stato stimato tra i 400.000 e i 500.000, circa la metà civili.
L’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), valuta che siano 5,5 milioni i profughi siriani in giro per il mondo e che un numero ancora maggiore sia quello degli sfollati interni al Paese. Un numero altissimo di persone, perlopiù con un alto tasso di scolarizzazione, che ha acceso una crisi legata ai migranti in Europa. Una crisi che ha scatenato gli appetiti di taluni governi al confine con Damasco e che ci ha visto come europei destinare somme importanti perché si creassero delle barriere fisiche, militari, culturali attorno a quelle terre. Nel 2016, l’Unione Europea e la Turchia hanno stretto l’EU-Turkey Deal per gestire il rilevante flusso di migranti siriani fuggiti dalla guerra civile nel proprio Paese. L’accordo incentiva la Turchia a trattenere il maggior numero di rifugiati nel proprio territorio col tentativo di Ankara di trattenere i migranti concedendo loro una cittadinanza a dire il vero mai riconosciuta e sottoponendo i rifugiati a discriminazioni e violenze.
Nel 2020, la Comunità Europea si è impegnata a fornire ulteriori 485 milioni di euro per proseguire l’accordo. In tal modo, l’Unione Europea è venuta meno all’EU–Turkey Deal, riallocando la metà dei richiedenti asilo in Europa, ma al contempo ha finanziato il governo turco perché mantenesse nel proprio territorio il più alto numero di rifugiati siriani.
La situazione si è aggravata dopo il tragico terremoto che ha colpito la Turchia e la Siria. La Turchia è lo Stato con il maggior numero di rifugiati siriani, con almeno 3.6 milioni di profughi registrati ufficialmente. Libano, Giordania, Germania e Iraq sono gli altri paesi in cui sono accolti oltre 11 milioni di siriani.
La Cooperazione italiana dal 2012 è intervenuta con 86,623 milioni di euro destinati ad interventi in diverse regioni della Siria, sia nelle aree controllate dal governo che non. I settori principali di intervento sono stati: protezione, sicurezza alimentare e livelihoods, salute, educazione ed early recovery.
La Siria oggi sta affrontando una situazione drammatica, resa ancora più estrema dal sisma che si è abbattuto di recente, con un popolo non pacificato e diviso dietro gruppi legati ad al-Qaida che dominano la provincia nordoccidentale di Idlib, mentre i ribelli sostenuti dalla Turchia controllano alcuni tratti lungo il confine, i curdi siriani, sostenuti dagli Stati Uniti, controllano parte del nord-est e Damasco, con l’appoggio russo, governa sul resto del Paese.
Farhan è un giovanissimo siriano, padre di due splendidi figli, Rabie e Manal, rifugiato in Libano. Da tempo ci auguriamo il buongiorno e ci raccontiamo un po’ delle nostre vite. Farhan è in attesa da tempo di una risposta dal progetto-pilota dei Corridoi umanitari realizzato dalla Comunità di Sant’Egidio con la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese e la Cei-Caritas e ogni giorno si sveglia con la speranza che i volontari con cui ha preso contatti lo chiamino insieme alla sua famiglia. Ama l’Italia, gli italiani e vorrebbe un futuro diverso per i propri cari.
Ho chiesto a Farhan di raccontarmi meglio le proprie giornate, senza per questo scadere nel pietismo. Io Farhan lo considero un amico e lui mi chiama “fratello”. Mi coinvolge nelle sue visioni come se gli anni di esule dentro la propria terra non hanno minimamente scalfito il sogno di una vita di pace e di benessere per la propria famiglia. E’ un padre! Non può permettersi di gettare la spugna, di cedere allo sconforto, di abbandonarsi e di conseguenza abbandonare le vite che ha in custodia, la moglie, i figli e qualche parente ancora in vita.
Ecco qui di seguito il suo racconto che volutamente non ho modificato, salvo qualche passaggio, proprio per non togliere nulla alla potenza di queste parole:
“La vita era bella, calma e andava bene. Eravamo giovani nel pieno della nostra vita, progettando il futuro, aspirando a ciò che dovremmo essere, lottando per realizzare i nostri sogni e noi stessi, trovando la nostra anima nel posto giusto che desideriamo, aspettando con ansia un futuro promettente, studiando e lavorando allo stesso tempo. Un giorno ci siamo svegliati con qualcosa chiamato “primavera”. Sentiamo spesso questa parola nei notiziari e la leggiamo, al punto che il nostro paese aveva una condivisione in questa primavera. Non avremmo mai immaginato cosa avrebbe comportato questa primavera per il nostro paese e il nostro popolo. Sfortunatamente, il nostro destino è stato in una guerra schiacciante che non ha lasciato nulla da bruciare. Fino a quando gli umani che si uccidevano a vicenda diventavano una sorta di simbiosi ambientale con la natura.
Qui mi sono fatto da parte e ho guardato il motivo di tutto questo, perché questa enorme quantità di distruzione e uccisione e la morte sono diventati sconosciuti a un bambino, a un anziano, a un vecchio., uomo, giovane o donna. Poi ho deciso di andarmene in pace perché la parola sbagliata è quella che deciderà il tuo destino e siamo passati da persone a rifugiati.
Il viaggio di una persona nella vita al viaggio di una persona in “manicomio”, e qui comincia un nuovo significato e con un nome nuovo, che è il “rifugiato”, e qui ho cominciato a ricercarmi nuovamente in una nuova società diversa dalla vostra e in un ambiente vicino a quello in cui sono cresciuto, ma purtroppo qui il padrone della situazione è stato il razzismo contro di noi.
“Vai a cercare lavoro. Yasher!” Ecco la parola rifugiato, e questa parola basta per perdere il tuo diritto a tutti i livelli, che si tratti del ricovero, dell’istruzione, del lavoro o anche nella ricerca di una persona adeguata. casa per te. Siamo in una grande confusione e rumore che ci circonda. Non sappiamo come tornare e non sappiamo come avanzare perché esisti in un ambiente che rifiuta completamente la tua presenza in esso. Qualcosa che riguarda il non aspirare a nulla. La tua ambizione quotidiana è trascorrere la giornata in pace e garantire il sostentamento della tua famiglia.
Qui la vita è ferma. Stai cercando le scappatoie appropriate per salvarti dai germi dell’asilo e dai suoi problemi Stai andando a chiedere aiuto all’UNHCR, sul quale siamo diventati un peso a causa delle pressioni dello Stato che non ti vuole, e quando guardi… Attraverso gli occhi dei tuoi figli, dici a te stesso: Cosa li attende e quale sarà il loro futuro? Se io sono vecchio e fuggo da tutto ciò che mi circonda perché non ne faccio parte e dal loro duro rifiuto nei confronti di noi come rifugiati, nulla ci circonda se non la fatica fisica, psicologica e mentale del nostro rifiuto”?
Fahran non accenna minimamente alla questione politica dentro il Paese, sa che può essere esposto a gravi conseguenze. Mi ha inviato questo testo sui canali della messaggistica con la preghiera di avere riguardo di ogni cosa. Mi ha autorizzato a condividere la sua storia, quella di Fahran (non a caso scelto tra tanti nomi di persone costrette all’esilio perenne).
Fahran conclude il suo testo con una frase che non può non tenere il nostro pensiero rivolto a queste vite che raccontiamo con il desiderio che smuovano la burocrazia e l’operosità di tante organizzazioni impegnate concretamente nei luoghi del “rifiuto”.
“Una realtà che abbiamo imparato a vivere”. Scrive ancora, come “Tutto questo non era nelle nostre mani e non ne abbiamo avuto alcuna colpa. Ma questa è la volontà di Dio e la accettiamo finché Dio non permetterà che le cose cambino per noi”.
Anche nella condizione involontaria di rifugiati c’è lo stigma di chi mal sopporta la permanenza di queste persone nel proprio territorio, nella propria regione. Il Libano non riconosce lo status di profugo e l’UNHCR, nonostante sia presente sul territorio, non è autorizzata a creare campi profughi.