Commento di Fra Marcello Buscemi e Suor Cristiana Scandura
Venerdì della II settimana di Quaresima
Letture: Gen 37,3-4.12-13.17-28; Sal 104; Mt 21,33-43.45
Riflessione biblica
“A voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti” (Mt 21,33-45). Forse, siamo tentati di fermarci alla prima parte di questa terribile predizione di Gesù: essa predice una condanna del popolo eletto di Israele. Ma spero che il Signore si ricordi delle sue ultime parole: “Padre, perdona loro perché non sanno che cosa fanno” (Lc 23,34). E con S. Paolo: “Come voi un tempo siete stati disobbedienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia a motivo della loro disobbedienza, così anch’essi ora sono diventati disobbedienti a motivo della misericordia da voi ricevuta, perché anch’essi ottengano misericordia” (Rom 11,30-31). Il loro indurimento sia motivo di riflessione attenta per noi: “Considera la bontà e la severità di Dio: la severità verso quelli che sono caduti; verso di te invece la bontà di Dio, a condizione però che tu sia fedele a questa bontà. Altrimenti anche tu verrai tagliato via” (Rom 11,22). Siamo “la vigna del Signore”, siamo stati curati da lui con la voce dei Patriarchi, dei Profeti, degli Apostoli, ma soprattutto ci ha invitato alla conversione attraverso Gesù: “Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Ebr 1,1-2). Rimaniamo uniti a Gesù come i tralci alla vite: “Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,4-5). Su lui edifichiamo la nostra vita di fede e di amore: “Agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo” (Ef 4,15).
Lettura esistenziale
“A voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti” (Mt 21, 43). Il Vangelo di oggi si chiude con un monito di Gesù, particolarmente severo, rivolto ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo. Sono parole che fanno pensare alla grande responsabilità di chi, in ogni epoca, è chiamato a lavorare nella vigna del Signore e spingono a rinnovare la piena fedeltà a Cristo.
Il proprietario della vigna rappresenta Dio stesso, mentre la vigna simboleggia il suo popolo, ma anche la vita di ciascuno di noi che Dio ci dona affinché, con la sua grazia e il nostro impegno, operiamo il bene.
Sant’Agostino commenta che “Dio ci coltiva come un campo per renderci migliori”. Dio ha un progetto per i suoi amici, ma purtroppo la risposta dell’uomo è spesso orientata all’infedeltà, che si traduce in rifiuto. L’orgoglio e l’egoismo impediscono di riconoscere e di accogliere persino il dono più prezioso di Dio: il suo Figlio unigenito. Quando, infatti, “mandò loro il proprio figlio – scrive l’evangelista Matteo – i vignaioli lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero” (cfr Mt 21,37.39). Dio consegna se stesso nelle nostre mani, accetta di farsi mistero insondabile di debolezza e manifesta la sua onnipotenza nella fedeltà ad un disegno d’amore che, alla fine, prevede però anche la giusta punizione per i malvagi (cfr Mt 21,41).
Saldamente ancorati nella fede alla pietra angolare che è Cristo, rimaniamo in Lui come il tralcio che non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite. Senza di Lui nulla di bene possiamo compiere, ma con Cristo, per Cristo e in Cristo tutto possiamo.