Mentre tutto il mondo ha gli occhi puntati sull’Afghanistan, anche a seguito dei terribili attentati di giovedì scorso, si moltiplicano le iniziative di solidarietà nei confronti di chi fugge da Kabul. Anche dalle carceri italiane si è levata la voce di vicinanza e di partecipazione al dolore che stanno patendo i profughi. L’ Ispettorato dei Cappellani delle Carceri e la Caritas hanno raccolto la richiesta di tanti detenuti che intendono far sentire il loro sostegno, anche da ristretti, a tutti coloro che stanno lasciando il Paese e per questo hanno organizzato due giornate di preghiera. Si è voluto così rispondere all’appello di Papa Francesco che ha chiesto a tutta la Chiesa e ad ogni persona di buona volontà di pregare il Dio della Pace “affinché cessi il frastuono delle armi e sia trovata una soluzione al tavolo del dialogo”.
Carcere, cenacolo di solidarietà
“Solo dove c’è la sofferenza e il dramma della solitudine si può comprendere ancora meglio la sofferenza dell’altro” spiega Don Raffaele Grimaldi, Ispettore generale dei cappellani delle carceri. “Per questo ho invitato i cappellani dei nostri Istituti, che seguono con apprensione le sorti del popolo afgano, unitamente ai volontari e agli operatori , di farsi promotori di una preghiera solidale, affinché durante le Sante Messe di oggi e di domani, le case di reclusione possano diventare Cenacoli di solidarietà e di vicinanza al popolo afgano”.
L’arma silenziosa e potente della preghiera
Don Grimaldi si dice convinto che la preghiera è “un’arma silenziosa e potente che squarcia i celi e giunge al cuore di Dio”. “La preghiera del cuore ci fa sentire vicino ad un popolo lontano; nessuno si senta abbandonato perché la Chiesa ha sempre spalancato le sue porte alla solidarietà e all’accoglienza costruendo dialogo con tutti, unica via possibile per soccorrere popoli in difficoltà come quelli dell’Afghanistan dove i deboli sono schiacciati dalla violenza”. “I detenuti dei nostri istituti” continua l’Ispettore dei cappellani “nonostante la loro condizione di ristretti, sono sempre attenti ai drammi e alle criticità fuori dalle mura. Le porte chiuse e sbarrate dei nostri penitenziari non ostacolano e non impediscono alla preghiera di evadere per avvolgere un mondo che soffre a causa delle violenze e dell’egoismo dell’umanità”.