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Vangelo tradito. «Abusi: non distogliamo lo sguardo. Proviamo vergogna e rimorso»

«Padre, fonte della vita, con umiltà e umiliazione ti consegniamo la vergogna e il rimorso per la sofferenza provocata ai più piccoli e ai più vulnerabili dell’umanità e ti chiediamo perdono». Fanno abbassare lo sguardo, risuonano sotto la pelle e toccano le profondità del cuore queste parole pronunciate nella maestosa e solenne cornice della Basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma. Parole che segnano la sera romana, poco dopo il tramonto, ieri sera, quando tutti i delegati dell’Assemblea sinodale delle Chiese in Italia le hanno pronunciate assieme: cardinali, vescovi, preti, diaconi, religiose, religiosi, laiche e laici, uniti in questa richiesta di perdono per una delle macchie più gravi e pesanti nel cammino della Chiesa. Hanno un peso, quelle parole, perché lì, in quell’aula che per tre giorni si è animata di tutta la bellezza della vita ecclesiale, ci sono idealmente tutti, a partire da quei pastori, che per loro mandato hanno il compito di vegliare sulle persone che si affidano alla comunità cristiana, specie i piccoli e i fragili.

Ed è proprio sfruttando quel senso di affidamento e di fiducia che chi compie abusi genera ferite profonde non solo nelle vittime, ma anche in chi appartiene alle rete di relazioni delle vittime, come i familiari. Ecco perché «Ritessere fiducia» è il tema scelto per questa quarta Giornata nazionale di preghiera per le vittime di abusi, che si terrà domani. Una ricorrenza che la Chiesa italiana, però, ha voluto anticipare proprio con le preghiera dei Vespri di ieri sera, alla fine delle giornata centrale di lavori della prima Assemblea sinodale.

Di fronte al dramma degli abusi, ha detto il segretario generale della Cei, l’arcivescovo Giuseppe Baturi, nell’omelia durante i Vespri, «non volgiamo lo sguardo da un’altra parte», perché «uno strappo come l’abuso non può essere sanato da una nuova toppa ma solo da una nuova veste, da un cambiamento radicale di cultura, di metodo, di cuore, un cambiamento che richiede l’infinita pazienza del dolore espresso e ascoltato, la speranza alimentata e valorizzata, la fiducia riannodata».

La celebrazione di ieri sera, ha spiegato alla stampa Chiara Griffini, presidente del Servizio nazionale per la tutela dei minori della Cei, «è stata un gesto importante e doveroso. Nella fase narrativa si sono costituiti 50mila gruppi di ascolto – ha sottolineato Griffini – e dalla sintesi di questo capillare lavoro sul territorio è emersa la forte richiesta di saldare il debito di ascolto con coloro che sono stati feriti dagli abusi nella Chiesa. La preghiera per le vittime all’Assemblea, quindi, è un passo in questa direzione, è un passo per aiutare a ritessere la fiducia ed esprime un impegno più deciso da parte della Chiesa italiana a rendere sempre più sicure le comunità cristiane, non solo per i minori – ha chiosato Griffini – ma per chiunque ne incroci il cammino».

Il materiale di riflessione per la quarta Giornata nazionale di preghiera e sensibilizzazione per le vittime e i sopravvissuti agli abusi, in particolare il commento biblico, è stato preparato da persone che stanno cercando con fatica di ritessere la fiducia spezzata in loro da abusi subiti in prima persona o dai loro figli da parte di sacerdoti e operatori pastorali laici. «È un gruppo di persone che incontra regolarmente la presidenza e la segreteria della Cei e da questi incontri sono nati, in maniera spontanea, questi testi: non si può pregare per le vittime senza dare voce alle vittime – ha sottolineato ancora Chiara Griffini –. E nel cammino di preparazione alla Giornata questo gruppo ha riconosciuto un impegno importante nella cura delle ferite. Una via – ha concluso la presidente del Servizio per la tutela dei minori – che non può sostituirsi ai necessari procedimenti giuridici, ma che è necessaria per accompagnare chi vive questo dolore».

Il cambiamento richiesto, ha notato da parte sua Baturi, «è possibile imparando ad amare gratuitamente i nostri piccoli, senza possessività e violenza, senza alcuna pretesa. La vita nostra per la loro felicità. Per noi, oggi, tale cambiamento è parte della grazia della fede, della scelta di seguire il Signore per guardare i piccoli come lui li guarda, per amarli come lui li ama. Così la gratitudine della fede diviene cura. Guardiamo questa immagine posta davanti a noi – ha concluso l’arcivescovo –: sappiamo essere gli occhi, gli orecchi, le braccia di Cristo per ogni piccolo affidato alle nostre cure».

(fonte Avvenire)

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