di Nicola Antonazzo – La fine dell’anno scolastico è da sempre lo sfondo più adatto per i congedi e i saluti. Non si tratta solo di licenziare intere classi di alunni che hanno terminato il loro percorso scolastico. No, nella scuola non esistono solo loro. Quasi ogni anno, piccoli ma importanti gruppi di colleghi si passano idealmente il testimone in quell’antro dell’orco che è la sala professori. C’è chi va via, per raggiunti limiti d’età, e svuota per l’ultima volta il cassetto del prof., il casellino che ha visto riempirsi, di anno in anno, di compiti da correggere, verbali da far firmare, copie saggio dei rappresentanti. Adesso si libererà del tutto per un nuovo inquilino. Forse, dopo aver custodito componimenti di italiano più o meno lunghi o strambe traduzioni di Livio dovrà fare la guardia a improponibili funzioni algebriche o inquietanti calcoli differenziali.
Lo spazio di una vita dedicata alla scuola, a volte, è tutto lì. Uno spazio che, seppur angusto, come un’incubatrice, diventa deposito di attese e speranze; dove il proprio lavoro matura per portare frutto. Testimone silenzioso di ansie, preoccupazioni, sospiri e a volte lacrime, quella porticina chiusa a chiave è lo stargate di un lungo viaggio che da un settembre all’altro conserva la memoria storica del proprio impegno. Una volta svuotato dovrà essere riassegnato e vigilerà su altri libri e compiti freschi di stampa e, soprattutto, porterà un nuovo nome. Scritto a penna su di un pizzino ricavato da lembo di un quadernone o stampato su di un’etichetta adesiva che andrà a ricoprire quella ingiallita già esistente, sarà l’incipit di una nuova storia, lo scrigno di tante storie che troveranno la loro sintesi nella vita scolastica del “neo-immesso-in-ruolo”.
Un anno è passato dal suo esordio nella prima fila del collegio docenti, quando, insieme alla scoperta delle classi assegnategli (“vedrai quanto sono bravi” …” non ti invidio proprio” …” che classe difficile che ti è capitata”) ha conosciuto il tutor che avrebbe vigilato sul suo cammino, il Gandalf che lo avrebbe accompagnato fino alle miniere di Moira, l’Albus Silente capace di svelare i segreti delle password per accedere alla rete di istituto. Dodici mesi passati da novello Indiana Jones a districarsi tra nuove sigle di dipartimento, nuovi colleghi, nuovi corridoi mai esplorati. Anche per lui il casellino della sala docenti rappresenterà il porto sicuro dove approdare ogni venerdì alla sesta ora, dopo una settimana di unità didattiche senza senso, riunioni di dipartimento simili ad assemblee di condominio e incontri ravvicinati con genitori che, manco a dirlo, hanno messo al mondo e cresciuto il novello Petrarca o la nuova Madame Curie e che quindi, meritano, ben più di quella striminzita sufficienza di cui hanno ricevuto notifica elettronica.
Difficile spiegare che il novello Petrarca non conosce l’uso del congiuntivo e considera “l’accento sulla e” una virgola che preso il volo; ancora più difficile convincerli del fatto che la giovane reincarnazione di Madame Curie scoprirà ben poco se passerà il suo tempo a dormire sul banco in ultima fila. Ma tutto questo il casellino non lo sa; a lui non importa che settimana hai passato. Lui è pronto a prendere in consegna le fatiche degli ultimi cinque giorni e a restituirle il prossimo lunedì. Sarà lì ad aspettarti, a ricordarti che si sono i compiti ancora da correggere, che i genitori stanno affilando coltelli e scimitarre per venirti a trovare, che dalla vicepresidenza arriverà un biglietto di sola andata per la prossima classe dove andrai a fare supplenza.
Tra un addio e un benvenuto, il casellino rimane il testimone di una vita scolastica che non si esaurisce ma che è sempre pronta a custodire e accogliere nuovi racconti, nuovi pezzi di esistenza e nuovi semi di futuro.