di Francesco Polizzotti – Lo avevano detto in tanti che sarebbe stato il momento più interessante del Festival di Sanremo. Ed è arrivato! Esordisce dicendo che non vuole fare le scale («Queste scale sono inutili, perché ci sono altri otto ingressi, qua dietro c’è gente che prega, che sta in ansia. Non scendo perché mi sono fatta gli occhiali nuovi, progressivi e non capisco quale sia l’angolo giusto per scendere»), atteggiandosi con «lo stesso abito di Jennifer Lopez», facendo naso-naso con Amadeus. Teresa Mannino non è nuova a saper gestire con tanta leggerenza il palco e parlare di lei come ad un personaggio della satira è assai riduttivo.
Teresa ha una laurea in filosofia e nelle sue metriche non mancano alcuni riferimenti al pensiero che fu e alla morale classica, con pennellate di improvvisazione che non lasciano nulla al caso ma trovano nella creatività artistica propria della Mannino puntualmente l’appiglio giusto. Con la sua cifra comica e la sua sagacia, Teresa Mannino ha intrattenuto il pubblico sanremese nella terza serata aiutando i meno affezionati come me delle performance di Mengoni e Fiorello a riprendere quota e l’Ariston sembra aver gradito la cosa. Nella serata di co-conduzione Teresa Mannino ci ha lasciato un cameo della sua arte attoriale. Nessun timore! Teresa era a suo agio e lo ha largamente dimostrato nel monologo che in questi giorni impazza sui social. Il tema del potere, al centro del monologo, è un tema ricorrente nel percorso artistico della Mannino. Teresa ha spaziato dalla presunta superiorità dell’uomo sulla natura alla saggezza delle formiche tagliafoglia, dimostrando una certa dimestichezza con i testi di Italo Calvino.
Si legge sul suo sito, alla voce “bio”: I suoi monologhi sono rigorosamente autobiografici, ma mai narcisistici, le sue gag di siciliana trapiantata al nord, il suo sguardo lucido e disincantato sul rapporto che lega gli uomini alle donne (o le donne agli uomini?), le madri alle figlie, restituiscono una delle fotografie a più alta definizione dell’Italia contemporanea. Eppure non sono mancati gli attimi di vera originalità che uniscono la golosità del momento (la Mannino con questa performance ha scalato ulteriormente la vetta) con l’opportunità del momento, con un Russel Crowe gestito alla pari di un cugino venuto dall’America durante le vacanze estive a Palermo e a cui si possono offrire “pane e panelle” come se si trattasse di nouvelle cuisine.
Il testo del monologo della Mannino sarebbe da incorniciare, da confezionare e regalare a chiunque pensa di essere superiore agli altri, a chi ha avuto la fortuna di nascere non solo nel posto giusto ma soprattutto dalla parte più vantaggiosa nei rapporti umani. Ai giornalisti aveva detto: «Sono prontissima perché è da una vita che mi preparo. Non a Sanremo ma a dire quello che penso». E così è stato! Il suo monologo ha raccolto le sensazioni di molte donne ma ancora di più di molti uomini che non vogliono passare per sostenitori del patriarcato così come descritti in questi mesi difficili. La comicità fine a se stessa può anche far ridere ma se priva di una visione sulla società, rischia di essere come la danza delle cortiginane interessate più a rabbonirsi il regnante di turno che a cogliere la sfida del “babbio”, come lo intendiamo in Sicilia. Sazia, stordita, consumista, incapace di guardare al di là del proprio naso, così Teresa descrive la società nel suo blog personale, una società che lei stessa vuole disegnare con gestualità precisa e micronarrazioni esplosive perché ha urgente bisogno di guardarsi senza indulgenza e autocompiacimenti allo specchio.
Teresa fa tesoro così dell’arte del cunto siciliano, fatto anche di figure al limite del paradosso e di volume, tono e ritmo. Viene dalla terra di Pirandello e delle maschere utili a cambiare in base alla situazione. Viene dall’esperienza della migrazione, di chi lascia la propria terra non dimenticandosene, nemmeno rinunciando al tipico intercalare che rende universale il palermitano. Il rispetto che la Mannino riconosce alle formiche tagliafoglia è forse la chiave di lettura della sua performance. L’altruismo delle formiche, il loro vivere dentro un sistema immutato nel tempo e sopravvissuto a sé stesso. La colonia di insetti pur se lenta, complessa e stanziale, tiene conto di tutte le sue componenti, perché tutte importanti e dove il potere è il risultato della cooperazione. Lo capiremo noi esseri intelligenti, evoluti e presuntuosi?