• 21 Novembre 2024 22:59

Quotidiano di ispirazione cristiana e francescana

di Francesco Polizzotti – Lo scorso 13 e 14 ottobre 2023 ho avuto l’opportunità di partecipare come delegato per l’Arcidiocesi di Messina – Lipari – Santa Lucia del Mela all’Assemblea sinodale delle Chiese di Sicilia, tenutasi a Terrasini, in provincia di Palermo e dal titolo “Continuiamo a camminare insieme”.

Dietro l’icona lucana dei due discepoli di Emmaus, nitidamente raccontata nella relazione introduttiva di don Massimo Naro, teologo e docente presso la Facoltà teologica di Sicilia, i tavoli sinodali si sono divisi per tematiche di approfondimento, in continuità con la precedente tappa sinodale, quella dell’ascolto e la seconda fase, tra la fase narrativa e quella sapienziale, aperta al discernimento e a quella conversazione spirituale  descritta proprio come movimento spirituale in sé stessi e nelle persone incontrate.

Un passo indietro. Aprendo il Sinodo sulla sinodalità, lo scorso 4 ottobre in San Pietro, papa Francesco ha chiesto uno stile decisamente controcorrente per evitare il “chiacchiericcio” mediatico e invitare tutti all’esseziale allo scopo di custodire il clima di ascolto tra i partecipanti dando senso e significato alla conversazione dello Spirito che nulla teme, nulla esclude, nulla pospone a tempi migliori.

Con questi sentimenti e con quel pizzico di profezia che viene richiesta ai battezzati che si lasciano condurre dallo Spirito e che provano ad esser “vita buona” per sé stessi e gli altri, ho raggiunto l’Assemblea sinodale consapevole che oggi più che le parole occorrano le pratiche ecclesiali, quelle che sanno scuotere soprattutto quanti “stanno dentro”, quanti formalmente aderiscono alla fede in Cristo ed in cui non è altrettanto compresa l’esigenza di una conseguente vita morale, sociale e cristiana capace di dire ancora qualcosa alla società, ad ogni uomo.

Francesco sa che la morale cristiana, il Magistero, sono spesso causa di sofferenza e di allontanamento dalla Chiesa, in quanto percepiti come uno spazio di giudizio e di condanna più che di comprensione. Vale anche per le strutture, le parrocchie, le comunità religiose e le associazioni ecclesiali. Non è una novità che gli stili pastorali si stiano allontanando dalle Dieci Parole che Dio aveva affidato a Mosè, così come il fare festa della pietà popolare o il declino di una presenza feconda dei credenti nella vita pubblica.

Occorre dire come il cammino sinodale sia partito relativamente tardi in molte diocesi e non si può nascondere certo scetticismo da parte del clero. Senza voler generalizzare, si è avuta l’impressione – poi confermata dalla decisione di Papa Francesco di prolungare la fase dell’ascolto di un ulteriore anno – che le nostre comunità non avessere molto da dire sulle sfide poste dal Sinodo. Anche le esperienze precedenti hanno risentito di un certo scollamento tra proposta pastorale e vissuto comunitario. Si pensi al Sinodo dei Giovani. Sia pure innovativo per le riflessioni consegnate, spinte dal desiderio dei giovani di essere riconosciuti per la propria originalità e per la richiesta legittima di una chiesa giovane, perché “Gesù stesso è giovane” (cfr. Documento finale e l’Esortazione Apostolica post-sinodale del Santo Padre Francesco dedicata ai giovani “Christus vivit”), anche allora molto del discernimento operato nelle diocesi risentiva di una certa stanchezza. Ricordo di aver partecipato a quella esperienza in diocesi. E se dalla pastorale giovanile e vocazionale gli sforzi furono importanti, non fu altrettanto forte la partecipazione di tutti.

L’Assemblea regionale sinodale da subito ha cercato di invertire la lente sui contenuti. I relatori, le riflessioni dei Vescovi, la presenza plurale di delegati e invitati sono serviti ad indicare come un autentico discernimento non parte dagli assunti ma dal contesto di provenienza di ciascun partecipante, consapevoli che il Sinodo non si può limitare a delle annotazioni come direbbe lo stesso papa Francesco. Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale ACI, nel presentare ai delegati le Linee CEI sul Cammino Sinodale – Fase sapienziale parlando di Conversione pastorale ha voluto utilizzare un’immagine immediata di cosa possa esserlo veramente. Citando don Luca Bressan, vicario episcopale per la cultura, la carità, la missione e l’azione sociale della diocesi di Milano,  ha ricordato come sia necessario “far dimagrire una chiesa obesa” recuperando una levità spirituale, una povertà di spirito cui tutti siamo esortati, elaborando il lutto di quelli che furono definiti da qualcuno i “giorni dell’onnipotenza”(Mario V. Rossi, I giorni dell’onnipotenza. Memoria di un’esperienza cattolica. Borla, edizione 2000), facendo “spazio a ricevere questo tempo come l’avvenimento di quelle cose nuove che il Signore oggi sta compiendo, attraverso le nostre fragilità, le nostre inadeguatezze, le nostre miserie, la nostra piccolezza ai suoi occhi gradita al pari della conversione misericordiosa (o dovrei dire misericordiante per usare il glossario di papa Francesco) del nostro cuore”. Qui il testo integrale di Notarstefano.

Non possiamo non condividere come questo sia un tempo privilegiato dal magistero di papa Francesco, sostenuti anche da una apertura sincera dei Vescovi per scelte condivise col popolo e perché la prossimità ci ponga sulle strade dell’uomo, lì dove lui si trova. Il presente, affermava, Von Balthasar, è il luogo della misericordia di Dio, in cui il “Fatto cristiano” si realizza attraverso i singoli momenti del tempo per diventare poi storia personale e adulta. Se il Sinodo ottenesse questa consapevolezza nel popolo, sarebbe già una grande novità.

Proprio Francesco nei giorni scorsi, durante la sua catechesi del mercoledì, soffermatosi sulla figura del “fratello universale” Charles de Foucauld, e del suo cuore pulsante di carità nella vita nascosta, ci ha ricordato come «ogni cristiano è apostolo»; e ricorda a un amico che «vicino ai preti ci vogliono dei laici che vedono quello che il prete non vede, che evangelizzano con una vicinanza di carità, con una bontà per tutti, con un affetto sempre pronto a donarsi» (Lettera a Joseph Hours, in Correspondances lyonnaises, 1904-1916, Paris 2005, 90-92.).

Forse non sta in questo la sinodalità richiesta? Chiaro che gli atti e i contenuti emersi dai tavoli sinodali avranno una caratura ecclesiologica propria di questi eventi e sarà bene prenderne confidenza anche solo per segnarsi le cose nuove (e antiche) proprie del discorso ecclesiale. E proprio in questi giorni sarà pubblicata la Lettera al popolo di Dio dei padri e delle madri sinodali. Sabato 27, invece, verrà diffuso il Documento di sintesi nazionale. Riguardo al contenuto di quest’ultimo, il card. Aguilar Retes ha affermato che «se si mette in pratica quello che è stato discusso e vissuto, ci sarà un percorso da compiere».

Chiaro che ogni contributo emerso sarà come quel “darsi da sé senza ritorno” di cui parlava Levinas. Io stesso considero la mia partecipazione come un’occasione per vivere con parresia l’amore di colui che ci ha amati per primi, senza fingimenti o considerazioni prive di umanità, considerazione dell’Altro, partecipando a quell’amore che ci porta agli altri vincendo le nostre chiusure. Un esercizio costante che ogni battezzato dovrebbe praticare nel vissuto quotidiano.

E qui mi tornano preziose le parole di Montini, a cui tra l’altro sono particolarmente legato, quando nella Lettera enciclica Ecclesiam Suam del 2 agosto 1972, circa l’adempiere al proprio mandato da parte della Chiesa, invitava a quel rinnovamento innescato dal Concilio Vaticano II, di emendare quei difetti giò denunciati e rigettati dal vangelo, quasi un esame interiore allo specchio del modello che Cristo di sé ci ha lasciati (Montini descriveva questo invito a correggersi come “bisogno generoso e quasi impaziente”). Ed in particolare Papa Paolo VI si domandava quale fosse quindi il dovere odierno (era il 1972) della Chiesa di correggere i difetti dei propri membri e di farli tendere a maggior perfezione, e “quale il metodo per giungere con saggezza a tanto rinnovamento, per trovare non solo maggiore coraggio a intraprendere le dovute riforme, ma per avere altresì dalla vostra adesione (del popolo di Dio) consiglio ed appoggio in così delicata e difficile impresa”.

Ecco l’impresa sinodale odierna possiamo considerarla come un richiamo a dei compiti che come comunità ecclesiale non abbiamo saputo o voluto svolgere. Montini soffrì molto di questa cosa. Oggi Papa Francesco ci da l’occasione per riprendere in mano la vita della Chiesa, correggere il tiro su molte questioni che impoveriscono le relazioni umane davanti a Dio ad iniziare dalla nostra immagine interiore ed esteriore (lo specchio di cui parlava per l’appunto il Papa incompreso e per molto tempo dimenticato).

Scriveva Madeleine Delbrêl: “Noi non siamo i primi, come cristiani, a doverci introdurre in un tempo nuovo. Altri hanno dovuto, prima di noi, camminare su terreni sconosciuti senza potere imitare un precursore, un compagno. Ma Dio resta padre, non ci prova per farci cadere in tentazione. Se è necessario, ci invia delle guide e la grazia di riconoscerle”.

Ringrazio il Vescovo Giovanni, l’ausiliare Cesare e don Roberto Romeo, delegato diocesano al cammino sinodale per avermi dato questa occasione di crescita e di comunione.