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Saper perdere per poter vincere

San Francesco stimmatizzato, dipinto di Carmelo Ciaramitaro

Commento di Fra Marcello Buscemi e Suor Cristiana Scandura

Impressione delle Stimmate del Serafico Padre San Francesco

Letture: Gal 6,14-18; Gal 2; Fil 1;  Lc 9,23-26

Riflessione biblica

“Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà” (Lc 9,23-26). È la logica della sequela: al centro non ci siamo noi con il nostro egoismo e i nostri interessi, ma c’è Gesù e gli interessi di Gesù. Egli è talmente al centro che persino il senso profondo della nostra esistenza viene investito dalla potenza del suo amore: “L’amore del Cristo ci spinge, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro” (2Cor 5,14). Questo amore ci sollecita alla sequela con tutte le sue esigenze: rinnegare se stessi, prendere ogni giorno la croce, sacrificare la vita per amore di Gesù; in una parola, ci lasciamo segnare dal sigillo della croce. Di più: nella fede ci lasciamo penetrare dall’esempio di Gesù, trasformare la mente e il cuore, al punto da poter dire: “Mi sono lasciato crocifiggere con Cristo, non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,19b-20). Non vogliamo conquistare il mondo e neppure essere conquistati dal mondo, perché “riteniamo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, nostro Signore” (Fil 3,8). Il nostro desiderio più grande sarà quello di Paolo: “che io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte” (Fil 3,10), e quello di Francesco: “L’ardore serafico del desiderio lo rapiva in Dio e un tenero sentimento di compassione lo trasformava in Colui che volle, per eccesso di carità, essere crocifisso. Provava letizia per l’atteggiamento gentile, con il quale si vedeva guardato da Cristo. ma il vederlo confitto in croce gli trapassava l’anima con la spada dolorosa della compassione” (S. Bonaventura).

Lettura esistenziale

“Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9, 23). Il Signore Gesù Cristo, pur potendo salvarci in molti modi, non ha evitato la morte in croce per insegnarci, non con parole ma con la sua stessa vita, che il dolore, la sofferenza, la croce hanno un valore salvifico. Spesso quando viviamo una prova, preghiamo perché il Signore ce ne liberi; anche Gesù, condividendo in tutto il nostro travaglio, nell’orto del Getsemani ha pregato il Padre perché allontanasse da Lui il calice amaro della Passione, ma sappiamo anche che subito dopo aggiunse: “Però non la mia, ma la tua volontà sia fatta” (Lc 22, 42). La prova ci purifica e fa emergere quello che abbiamo nel cuore, fa emergere quello che talvolta anche noi sconosciamo di noi stessi. Ciascuno di noi non è né la prima persona né l’ultima ad avere delle prove, la vita di ciascun uomo è attraversata prima o poi da una prova più forte che mette al vaglio la sua fede, se però ognuno non è l’unico ad avere delle prove, può però vivere in modo unico la prova, poiché la risposta è sempre personale, unica e irripetibile. La prova è sempre una “sfida”, un’opportunità di crescita nella fede, nell’amore, nel dono, nel perdono, ecc. Più che chiedere al Signore di liberarcene, dovremmo pregare e far pregare perché in essa possiamo dar gloria a Dio e santificarci.

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