• 22 Novembre 2024 7:46

Quotidiano di ispirazione cristiana e francescana

Santo del giorno, Santa Veronica Giuliani

Questa straordinaria mistica è nata il 27 dicembre 1660 a Mercatello sul Metauro, nella diocesi di Pesaro. La sua vita fu un susseguirsi di meraviglie. Battezzata con il nome di Orsola, a soli due o tre anni cominciò a godere delle frequenti visioni di Gesù e Maria, che le sorridevano e rispondevano dalle immagini appese alle pareti di casa mentre ella esclamava: “Gesù bello! Gesù caro! Io ti voglio tanto bene”. Durante la Messa, al momento dell’elevazione, nell’ostia vedeva quasi sempre Gesù che l’invitava a sé. “Oh, bello!… Oh, bello!…” gridava la piccina, e si slanciava verso l’altare. Quando il sacerdote portò il viatico a sua madre, Orsola vide l’ostia sfolgorante di luce. A mani giunte supplicò: “Date anche a me Gesù”.

Appena la morente si comunicò, le si pose accanto, sul letto, esclamando:

“Oh, che cosa bella avete voi avuto, mamma! Oh, che odore di Gesù!”. Prima di morire la pia genitrice chiamò le sue cinque figlie attorno a sé e a ciascuna assegnò una piaga del crocifisso come rifugio e oggetto particolare di devozione. Ad Orsola, di sei anni, toccò quella del S. Cuore. Si disciplinava con una grossa corda; camminava sulle ginocchia; stava lungamente a braccia aperte in forma di croce; si pungeva con gli spini.

Per amor di Dio, Orsola aveva compassione dei poveri ai quali donava generosamente quello di cui disponeva. Scriverà più tardi: “Mi pareva di vedere nostro Signore, quando vedevo essi”. Col passare degli anni crebbe in lei sempre più la brama di fare la prima Comunione. Supplicava la Vergine Maria: “Datemi cotesto vostro Figlio nel cuore!… io sento che non posso stare senza di Lui!” Quando fu soddisfatta, nel 1670, Gesù le disse: “Pensa a me solo! Tu sarai la mia sposa diletta!”.

Ma come lasciare il mondo se la sua bellezza le attirava le più vive simpatie di giovani distinti? Al babbo che l’adorava un giorno disse: “Come posso ubbidirvi, se il Signore mi vuole sua sposa?… Anch’Egli è mio padre, e Padre supremo. Non solo gli debbo ubbidire io, ma ancor voi”.

Dopo aver mutato il nome di Orsola in Veronica, nel 1677 riuscì a entrare, diciassettenne, nel monastero delle Cappuccine di Città di Castello (Perugia). È impossibile descrivere il cumulo di grazie, doni, privilegi, visioni, estasi, carismi singolari che Dio elargì alla sua “diletta”. I fenomeni mistici che in lei si verificarono furono controllati a lungo e severamente dalle autorità competenti.

Dal 1695 al 1727, la santa scrisse, senza rileggerle, in un Diario le fasi e le esperienze della sua vita interiore per obbedienza al vescovo, Mons. Eustachi. Riempì 21.000 pagine raccolte in 44 volumi. In modo misterioso, ma reale e visibile, sperimentò a uno a uno tutti i martirii e gli oltraggi della Passione di Cristo. Diceva a Gesù: “Sitio! Sitio! Ho sete non di consolazioni, ma di amaritudine e di patimenti”. Si può dire che fin dall’infanzia pregasse: “Sposo mio, mio caro bene, crocifiggetemi con Voi! Fatemi sentire le pene e i dolori dei vostri santi piedi e delle vostre sante mani…”.

Nel 1694 divenne maestra delle novizie e ricevette nel capo l’impressione delle spine. Dopo tre anni di digiuno a pane e acqua, il venerdì santo del 1697 le apparvero le stimmate e nel cuore ebbe impressi gli strumenti della Passione. “In un istante, scrisse la santa, vidi uscire dalle sue santissime piaghe cinque raggi splendenti; tutti vennero alla mia volta; e io vedevo i detti raggi divenire come piccole fiamme. In quattro vi erano i chiodi e in uno la lancia d’oro, ma tutta infuocata, e mi passò il cuore da banda a banda, e i chiodi passarono le mani e i piedi”. Per questo soffriva talmente, anche in modo visibile agli altri, che veniva chiamata la “sposa del crocifisso”.

Il vescovo di Città di Castello, si recò nel monastero e si convinse della realtà delle stimmate. Alcuni medici ne curarono le ferite per sei mesi. Dopo ogni medicazione le mettevano guanti alle mani muniti di sigilli. Ma le ferite, invece di guarire, s’ingrandivano di più. La badessa ricevette dal vescovo ordini destinati a provare la pazienza, l’umiltà e l’obbedienza della santa nella maniera più sensibile. Le fu tolto l’ufficio di maestra delle novizie; fu dichiarata scaduta dal diritto di voto attivo e passivo; le fu proibita ogni relazione con le altre suore; colpita da interdetto non fu più ammessa all’ufficio in coro né alla santa Messa; fu privata persino della Comunione e per cinquanta giorni fu chiusa in una cella simile ad una prigione.

Insomma, di proposito, fu trattata come una folle, una simulatrice e una bugiarda. Il Vescovo al S. Ufficio non poté fare altro che scrivere: “Veronica obbedisce ai miei ordini nella maniera più esatta e non mostra, riguardo a questi duri trattamenti, il più leggero segno di tristezza, ma al contrario, una tranquillità indescrivibile e un umore gioioso”. Morì il 9 luglio 1727, dopo 33 giorni di malattia. Il suo corpo è venerato sotto l’altare maggiore della chiesa delle Cappuccine in Città di Castello. Pio VII la beatificò nel 1804 e Gregorio XVI la canonizzò nel 1839.