Site icon

San Bernardino da Siena, l’apostolo della devozione al nome di Gesù

Predicatore instancabile in giro per l’Italia, propagò la devozione al santo nome di Gesù facendo incidere il monogramma «YHS» su tavolette di legno, che dava a baciare al pubblico al termine delle prediche. Anche dopo la sua morte, avvenuta alla città dell’Aquila, nel 1444, Bernardino continuò la sua opera di pacificazione. Era infatti giunto morente in questa città e non poté tenervi il corso di prediche che si era prefisso. Persistendo le lotte tra le opposte fazioni, il suo corpo dentro la bara cominciò a versare sangue e il flusso si arrestò soltanto quando i cittadini dell’Aquila si rappacificarono.

Bernardino nacque a Massa Marittima, nella Maremma toscana, l’8 settembre 1380, dall’aristocratica famiglia degli Albizzeschi. Il giorno della sua nascita, la festa della Natività di Maria, torna spesso nella sua vita ed egli lo considerò un segno particolare. Rimasto da giovanissimo orfano di padre e di madre, venne cresciuto da due zie a Siena. Ventenne, abbandonò gli studi di diritto per assistere gli ammalati e i moribondi nella grande peste del 1400, durante la quale contrasse a sua volta il contagio. Guarito, conservò tuttavia il ricordo della tremenda malattia subita e della grazia della guarigione come segni d’una chiamata, che lo aveva profondamente cambiato dall’interno e disposto a testimoniare con fervore la fede nel Cristo: distribuì dunque tutti i suoi averi ai poveri ed entrò nel giorno stesso del compimento del suo ventesimo anno d’età, l’8 settembre 1400, nell’Ordine dei frati Minori, scegliendo al suo interno la famiglia più rigorosa, quella dell’Osservanza. Esattamente quattro anni più tardi, l’8 settembre 1404, celebrò la sua prima messa.

LA DEVOZIONE AL NOME DI GESÙ

Subito dopo aver assunto il saio, cominciò un’intensa attività di predicatore, percorrendo l’intera Italia centro-settentrionale. La sua predicazione determinò un deciso rinnovamento per la Chiesa e per il movimento francescano. Nelle sue prediche egli insisteva costantemente sulla devozione al nome di Gesù: durante il loro corso, venivano fatte adorare e baciare dai fedeli delle tavolette di legno colorate in oro e azzurro sulle quali era dipinto o inciso il trigramma IHS (Iesus Hominum Salvator) sormontato da una croce e inscritto in un sole. Forte e originale era la sua attenzione anche per gli aspetti economici della vita dei credenti: compose un trattato Sui contratti e l’usura, nel quale perorava la causa dell’imprenditore, dell’artigiano e del commerciante onesti che con le loro attività procuravano benessere oltre che a loro, anche all’insieme della società. Egli individuò quattro grandi virtù naturali, che permettevano a queste persone di darsi un’etica professionale: l’efficienza, la responsabilità, la laboriosità, e l’assunzione di rischio. Su queste basi e a queste condizioni egli sosteneva che un moderato interesse, e quindi un giusto profitto lucrato sui capitali investiti, fosse legittimo e non dovesse considerarsi usura. In questo senso, Bernardino e l’Osservanza vengono considerati come gli iniziatori d’un modo di pensare l’economia che ha aperto le porte alla modernità ancor prima che il pensiero calvinista modificasse – come aveva sostenuto Max Weber – la sensibilità e il pensiero europeo a proposito della teoria economica dell’interesse. Ma la differenza tra le visioni economiche di Bernardino e quelle successive, sostenute nel mondo calvinista, era la costante attenzione posta dal primo all’uso sociale della ricchezza, volto costantemente al bene comune.

LA “ROBA” NON È DEL SINGOLO INDIVIDUO MA È PER L’UOMO IN QUANTO ESSERE SOCIALE

 Per contro, Bernardino ebbe sempre parole di fuoco per i ricchi che, invece d’investire le loro sostanze in nuove attività che sarebbero state di generale giovamento, preferivano prestare a usura per conseguire un egoistico accrescimento delle loro fortune. Bernardino sosteneva che la “roba”, cioè l’insieme delle proprietà private di ciascuno, non appartiene all’uomo in quanto singolo individuo, dal momento che proviene da Dio, ma è per l’uomo in quanto essere sociale, come strumento per conseguire un miglioramento della società nel suo insieme. Altro tema costante e consueto della predicazione bernardiniana fu la riconciliazione tra le persone e le famiglie in lite e la risoluzione di contese. Nel 1425 egli predicò tutti i giorni per sette settimane nella città di Siena. La sua predicazione naturalmente gli provocò astio e inimicizia negli ambienti che egli fustigava con parole dure e molto sovente addirittura crude: ad esempio quello degli usurai e di chi teneva aperte le bische del gioco d’azzardo. Tali risentimenti dettero luogo anche a polemiche molto aspre, come quella con il domenicano Manfredi da Vercelli (un’interessante figura legata al modello, anch’esso domenicano, di san Vincenzo Ferrer) a proposito della figura dell’Anticristo, nonché a un’accusa insidiosa: quella di idolatria e di superstizione, pretesto della quale fu l’adorazione del Nome del Cristo (il trigramma IHS) di cui egli era ardente propagatore. Si giunse addirittura a un processo per eresia, che Bernardino sostenne a Roma nel 1427 e dal quale uscì indenne anche grazie alla sapienza e all’accortezza del teologo Paolo Veneto. Anzi, papa Martino V, che lo conobbe durante quel processo, ne rimase impressionato al punto di chiedergli di predicare anche a Roma: il ciclo romano di prediche di Bernardino, voluto dal papa, durò 80 giorni consecutivi con uno straordinario concorso di gente. Una predica durava mediamente un’ora: esistono tuttavia prediche documentate e trascritte che durano sino a quattro ore. Gli argomenti che egli trattava erano ardui, sovente fonte di scandalo, non di rado oggetto di discussione anche in seguito e fino ai giorni nostri: così le sue dure denunzie nei confronti del gioco d’azzardo, del lusso, dei rapporti omosessuali, delle pratiche abortive e stregoniche. La denunzia bernardiniana dei rapporti tra aborto e stregoneria è rimasta alla base della definizione della figura della strega dal Quattrocento al Settecento. A Roma Bernardino tornò nel 1433, per l’incoronazione solenne dell’imperatore Sigismondo. Ci volle tuttavia una bolla pontificia, emanata da Eugenio IV il 7 gennaio del 1432, per mettere del tutto a tacere i suoi calunniatori e detrattori.

EVANGELIZZATORE E PREDICATORE INSTANCABILE

La fatica alla quale Bernardino, in quanto predicatore, si sottoponeva era pesante: il suo scrupolo lo portava a scriverne anche più di una versione prima di salire sul pulpito, per quanto sappiamo poi che spesso egli improvvisava. In seguito ai suoi cicli di predicazione in varie città, specie durante la quaresima, si giungeva a modificare gli statuti cittadini nei quali s’inserivano norme per facilitare la riconciliazione tra le famiglie e le fazioni contendenti o per più duramente reprimere giochi d’azzardo, usanze connesse all’usura, costumi omosessuali, riti stregonici.

Fedele alla sua vocazione di predicatore, cui aggiungeva un pesante impegno di trattatista, egli rifiutò a più riprese la cattedra vescovile: nel 1427 quella di Siena, nel 1431 quella di Ferrara, nel 1435 quella di Urbino. Ma non poté sottrarsi agli incarichi interni dell’Ordine, accettati per “santa obbedienza”: fu così vicario generale degli Osservanti nel 1437 e l’anno successivo di tutte le famiglie francescane d’Italia. Non cessò tuttavia mai di dedicarsi, nonostante questi nuovi oneri, all’evangelizzazione. Il 26 maggio del 1443 una bolla pontificia lo incaricava di predicare l’indulgenza per una nuova crociata contro gli ottomani che ormai stavano stringendo progressivamente la loro morsa su Costantinopoli: non sembra tuttavia che Bernardino abbia mai predicato in conseguenza di tale bolla, forse perché non ne ebbe il tempo. Nel 1444 difatti, per quanto seriamente malato, si recò a L’Aquila, anche per tentare di riconciliare due fazioni che in città si stavano sanguinosamente affrontando: e in questa città morì il 20 maggio. Si racconta che dalla bara continuassero a uscire rivoli di sangue, finché le due fazioni non si furono riappacificate.

LA FAMA DI SANTITÀ

Bernardino fu proclamato santo da Niccolò V nel 1450: già prima della canonizzazione si erano diffusi numerosi, insistenti racconti a proposito dei miracoli da lui operati, alcuni dei quali trovarono spazio in una edizione a stampa della Legenda aurea, dal testo appositamente modificato, impressa pochi anni dopo, che resta uno degli incunaboli più antichi conosciuti. Tra le sue opere, sono stati editi sia i trattati che i testi dei sermoni direttamente stesi da lui in latino, oltre a quelli in volgare che sono il risultato delle note compendiose prese volta per volta dai suoi ascoltatori più assidui. Subito dopo il suo transito, l’Ordine minoritico volle promuoverne la figura come campione di testimonianza della fede nel Cristo e del potere salvifico del suo santo nome. L’immagine calva ed emaciata del santo che presenta la tavoletta del trigramma IHS è molto diffusa. Sappiamo che subito dopo la morte circolava a Siena un suo ritratto che doveva essere molto somigliante, il che è confermato anche dal confronto con il calco mortuario eseguito a L’Aquila. Esso fu probabilmente il prototipo delle molte rappresentazioni successive dove i tratti caratteristici del santo appaiono quasi sempre simili tra loro. Tra le tante opere va menzionato almeno, per l’elevata qualità artistica, il ciclo di affreschi sulla vita di san Bernadino eseguito nel 1486 a Roma, nella cappella Bufalini della chiesa di Santa Maria in Aracoeli, dal Pinturicchio. Bernardino fu maestro di un’intera generazione di francescani Osservanti che dopo di lui predicarono e scrissero trattati di teologia, affrontando argomenti come l’eresia, la diffusione della stregoneria, il rapporto con gli ebrei, l’usura, la predicazione della crociata: tra essi, vanno ricordati almeno Giacomo della Marca, Giovanni da Capestrano, Bernardino da Feltre, Roberto da Lecce.
Exit mobile version