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San Benedetto da San Fratello, africano nato tra schiavi divenuto santo. La storia

Diilsycomoro

Set 16, 2023

Nella città di San Fratello, diocesi di Messina, in Sicilia, era circa l’anno 1524 quando nasceva Benedetto Manasseri. Non era un bambino come tutti gli altri. Non solo perché sarebbe diventato un grande santo, ma ancor più perché era un “nero”, figlio di schiavi africani comprati da mercanti senza scrupoli che barattavano i loro prodotti con mercanzia umana.

Nel sud Italia di questi secoli, è raro trovare registri notarili che non contengano un atto di vendita di schiavi o inventari in cui non siano elencati, tra i beni mobili e gli animali, anche esseri umani. Una vergogna che non risparmiava neppure gli ecclesiastici e le comunità religiose, nonostante le indicazioni ufficiali di papa Pio II, nel 1462, erano state di massima severità per chi praticava tale commercio.

Gli schiavi non avevano identità propria, per lo più assumevano il cognome del loro padrone. Il padrone-proprietario aveva diritto di vita e di morte sui suoi “averi” e spesso li faceva sposare tra di loro (“sposare” perché siamo in un periodo di “fervente” cristianità), ma in realtà si trattava di accoppiamento. Proprio così, come le bestie, perché i “piccoli neri” rendevano parecchio se venduti come merce.

Vincenzo Manasseri non doveva essere un cattivo padrone e tuttavia anche lui sperava di investire nella proliferazione dei suoi schiavi. Per questo aveva acconsentito che il “suo” Cristoforo sposasse Diana Larcan, una donna nera forse affrancata dal suo padrone. Tuttavia la coppia pare che non accontentasse il padrone figliando un nugolo di “scavuzzi”.
Secondo alcuni era per via di una scelta di castità cristiana degli sposi. Già, erano neri, ma educati cristianamente e nella fede vissuta santamente il colore della pelle non ha alcuna rilevanza.

Fatto sta che il padrone promise di dare la libertà al primogenito. E così fu: il primo figlio, Benedetto, nacque libero sin dal suo primo giorno di vita.

Dopo di lui, seguirono un fratello e due sorelle, di cui si conosce ben poco. Vincenzo Manasseri era stato comunque accontentato.
Secondo le testimonianze dell’epoca, Benedetto crebbe in un clima di spiritualità che favorì la sua educazione e gli diede una impronta particolare che lo avrebbe distinto dal comportamento dei giovani contemporanei sin da quando era piccolo.

Essendo libero egli doveva provvedere al proprio sostentamento. E infatti lo vediamo spesso al lavoro nei campi con due buoi che era riuscito a comprare con tanti sacrifici. Ed è in una di queste occasioni, nei poderi, durante la mietitura, che avviene un incontro che gli segnerà l’esistenza: quello con frate Gerolamo Lanza, un ex cavaliere ritiratosi prima in convento e poi in eremitaggio nelle montagne intorno a Caronia a pochi chilometri da San Fratello.
Proprio questo Lanza, difendendo il giovane Benedetto dagli scherni dei compagni di lavoro, ne profetizzò una fama insospettabile. Fatto sta che da lì a poco, ancora ventenne, Benedetto, venduti i buoi e distribuitone il ricavato tra i pove­ri, segue Gerolamo nella vita eremitica.

La vita da eremita

La vita in eremitaggio era piuttosto dura: preghiera, digiuni e penitenze, in luoghi remoti e privati di ogni comodità. Anche qui, Benedetto si distinse su tutti gli altri, tanto che la sua fama cominciò a spargersi nei paesi vicini e sempre più gente accorreva al giovane frate per chiedere consigli, ricevere benedizioni e invocare miracoli.
Fama che non si addiceva con la vita eremitica del gruppo, così tutti insieme, i frati erano costretti a trasferirsi di eremo in eremo. Li ritroviamo ora vicino Raffadali nell’agrigentino, ora nelle grotte della Mancusa, tra Carini e Partinico, ora sul selvaggio monte Pellegrino nei pressi di Palermo, dove, con la morte di Gerolamo, gli vengono affidate le redini della compagnia.

Nel 1562, dopo circa diciotto anni da quando Benedetto era entrato nella vita eremitica, il papa Pio IV ordinò che la congregazione dei frati detti “del Lanza” fosse sciolta: dovevano lasciare la vita eremitica e abbracciare una delle famiglie religiose approvate.
A malincuore, tutti  ubbidirono disperdendosi non si sa dove. Benedetto già pensava di entrare a far parte dell’Ordine dei Cappuccini, ma mentre pregava nella cattedrale di Palermo, per tre volte ricevette un segnale celeste da cui capì di essere chiamato in quello dei Frati Minori di San Francesco.

Benedetto e la vita in convento

Fatta la richiesta, Benedetto venne accolto nel convento palermitano alle pendici del monte Grifone: Santa Maria di Gesù. Fu inserito nel gruppo dei frati laici di quell’Ordine e trasferito nel convento di Sant’Anna a Giuliana, dove rimase tre an­ni conducendo vita nascosta e solitaria. Tornò a Palermo, intorno al 1565, e qui trascorse il re­sto della vita.

Non era più un eremita ma il suo stile di vita rimase praticamente immutato: il suo cibo fu sem­pre molto povero, spesso solo pane; non si tolse mai il cilicio che a suo tempo aveva indossato; riposava poco, per lo più a ter­ra; si dedicava ai lavori più umili e faticosi. Pregava e meditava in ogni circostanza.

Interrompeva la preghiera o qualsiasi al­tra occupazione al suono dei tre rintocchi della campanella del frate portinaio (che era il segnale convenuto): allora si affrettava ad accogliere tutte le persone che in gran numero desideravano parlargli: a ciascuno sapeva elargire i consigli più op­portuni. Nessuna meraviglia pertanto se Benedetto era molto caro a tutti e se ogni classe di uomini, nobili, dotti, confratelli e superiori religiosi, chiedes­sero il suo aiuto, lo consultassero per consigli, si raccomandassero alle sue preghiere. Per questo, la sua fama di santità si diffondeva dappertut­to fino a Napoli, a Roma, nella Spagna e nel Portogallo.

Tuttavia egli era mi­te e umile di cuore, aveva un’opinione molto bassa di sé, si riteneva il più piccolo degli uomini e diceva di essere un grandissimo peccatore. Spesso visitava i carcerati e gli infermi, offrendo loro tutti i servizi e le opere di carità ed esortandoli alla pazienza e a riporre in Dio la propria speranza.

Aveva tanto amore e misericordia per i bisognosi che spesso conservava il frutto della sua astinenza e del suo digiuno per darlo ai poveri. E quando fu eletto guardiano (superiore) del convento di Palermo (incarico accettato per obbedienza), insisteva affinché il portinaio non respingesse alcun povero che veniva a chiedere l’elemosina.

Le cronache e le testimonianze riferiscono anche moltissimi miracoli riconosciuti a san Benedetto il Moro, ma mi sembra più saggio sorvolare perché secondo me sono più il frutto di leggende e facilità a riconoscere interventi miracolosi in ogni frangente. Premonizioni, apparizioni di angeli, statue che parlano, cibi che si moltiplicano, malati che guariscono e morti che resuscitano. Lasciamo stare. Non faremmo onore ad una vita vissuta santamente nella povertà e nella preghiera, nella fede e nel silenzio di una “Presenza” che si avverte dentro il nostro cuore e non già in manifestazioni straordinarie ed eclatanti.

La morte di san Benedetto il Moro

Il 4 aprile 1589, martedì di Pasqua, all’età di 63 anni, dopo trenta giorni di sofferenze per una gravissima malattia, Benedetto moriva nella sua celletta. Prima di ricevere l’Eucaristia chiese perdo­no a tutti e a ciascuno dei confratelli. Poi si spense serenamente in quel silenzio che tanto aveva amato durante la sua vita.

La procedura per la canonizzazione di Benedetto il Moro era stata avviata subito dopo la sua morte, sin dal 1594 e ripresa nel 1622. Il processo si tenne nel 1625 ma si interruppe, bloccato da una normativa di Urbano VIII sopraggiunta proprio in quegli anni.

Il popolo, comunque, con la tolleranza e talvolta con l’incoraggiamento dei vescovi, continuò a venerare Benedetto come santo. Il suo culto si diffuse rapidamente in tutta la Sicilia, in Spagna, in Portogallo e in molti paesi dell’America Latina, soprattutto presso le popolazione nere che riconoscevano in lui un simbolo e una speranza di riscatto.

Il 24 aprile 1652 il Senato Palermitano lo proclamò compatrono e intercessore della città, impegnandosi a recarsi ogni anno nell’anniversario della sua morte in pellegrinaggio al suo sepolcro portando quattro grossi ceri.
Il quindici maggio 1743 il papa Benedetto XIV lo proclamò beato.
Negli anni successivi continuarono le richieste della canonizzazione, sicché nel 1777 fu riconosciuta dalla Congregazione dei Riti l’eroicità delle sue virtù, nel 1790 i due miracoli richiesti e finalmente il 24 maggio 1807, solennità della santissima Trinità, il papa Pio VII con la Bolla  Civitatem Sanctam proclamò Benedetto Santo: il primo santo nero della storia.