Risorti in Cristo

Commento di Fra Marcello Buscemi e Suor Cristiana Scandura

Venerdì fra l’Ottava di Pasqua

Letture: At 4,1-12; Sal 117; Gv 21,1-14

Riflessione biblica

“Disse loro Simon Pietro: Io vado a pescare. Gli dissero: Veniamo anche noi con te”. (Gv 21,1-14). Il problema non era e non è la risurrezione, ma vivere da “risorti in Cristo”. Gesù non è un morto e neppure un fantasma. Siamo noi che con la nostra poca fede lo rendiamo un personaggio evanescente, non una persona da amare. Solo l’amore apre gli occhi per riconoscere che il Signore risorto è sempre con noi. Solo l’intuizione del discepolo amato, voce del cuore, riconosce in Gesù il Signore. Essenziale per la nostra fede nel vivere quotidiano. pesca-300x296 Risorti in CristoIl ritorno al lavoro è necessità della vita. Ma non è il lavoro che ci distrae dal riconoscere il Signore risorto operante nella nostra esistenza. Forse, la nostra fede agente mediante l’amore si è alquanto intiepidita, perché un cristiano senza Gesù non può far nulla (Gv 15,5) e non può ottenere nulla: “quella notte non presero nulla”. Basta uno sguardo d’amore verso di lui e la vita risorge: “Gettarono la rete e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci”. Credere fermamente che egli opera nella nostra vita e non perdere il nostro orientamento esistenziale: “Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra” (Col 3,1-2). Nel nostro operare quotidiano il riferimento a Gesù è una necessità del cuore, che ci orienta a colui che dirige il nostro pensare, agire e sentire: “Qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre” (Col 3,17). Gesù è il nostro punto di riferimento quotidiano. Lui è vivo nella sua parola che dà pace al cuore: “lui è la nostra pace” (Ef 2,14) e “le sua parole sono spirito e vita” (Gv 6,63). Lui è fonte di grazia e santità nei sacramenti: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, rimane in me e io in lui e colui che mangia me vivrà per me” (Gv 6,54.56-57). Lui è presenza attiva in noi con la dolce fortezza dell’amore: “dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). Testimoniamo al mondo la presenza salvifica di Gesù con la nostra vita.

Lettura Esistenziale

“Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare” (Gv 21, 7). Questo fatto ha sempre suscitato la mia curiosità. Il buon senso ci dice che quando ci gettiamo in mare, piuttosto che vestirci, ci svestiamo. Pietro invece fa tutto il contrario: prima si veste e poi si butta in mare e l’evangelista Giovanni si dà premura di farci conoscere questo particolare. L’atteggiamento di Pietro mi fa pensare ai due progenitori, Adamo ed Eva, che dopo aver peccato, si accorsero di essere nudi e si ricoprirono con foglie di fico.

Dunque si tratta di un coprirsi suscitato dalla vergogna per la colpa commessa. Allora mi spiego questo insolito comportamento di Pietro con la vergogna per avere rinnegato per tre volte il suo Maestro e Signore. Nel seguito del racconto evangelico, Gesù fa “riparare” a Pietro il triplice rinnegamento con una triplice attestazione di amore. Colpito profondamente da questa esperienza, in seguito Pietro affermerà che “la carità copre una moltitudine di peccati” (1Pt 4, 8).

Ogni volta che diciamo con il cuore, la mente e le labbra: “Gesù ti amo” e tutte le volte che facciamo anche un piccolo gesto di carità verso il nostro prossimo, ripariamo le nostre colpe e accumuliamo un tesoro nel Cielo.

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