• 23 Novembre 2024 1:10

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Ricordando Berlinguer in un’Italia che maldigerisce l’antifascismo

Ieri era l’anniversario della morte di Enrico Berlinguer, segretario generale del PCI per oltre 12 anni, leader indiscusso del comunismo italiano ed europeo, destinato a entrare nella storia della Repubblica Italiana e del Partito Comunista, che sotto la sua guida toccò il massimo consenso elettorale con il 34,4% nel 1976. La morte lo raggiunse l’11 giugno 1984 durante un comizio a Padova.

Dopo le elezioni europee che hanno visto la vittoria della destra estrema e la tenuta di una sinistra poco convinta anche di se stessa, è lecito domandarsi se esista ancora un partito che faccia politica. E non se lo chiedono in pochi, basti vedere la percentuale storica dell’astensionismo (oltre il 50%). Ma già nel 1981 il segretario del Partito Comunista Italiano riferì al fondatore di Repubblica, Scalfari, un’amarissima constatazione: la “politica si faceva nel ’45, nel ’48 e ancora negli anni Cinquanta e sino verso la fine degli anni Sessanta. Grandi dibattiti, grandi scontri di idee, certo, scontri di interessi corposi, ma illuminati da prospettive chiare, anche se diverse, e dal proposito di assicurare il bene comune. Che passione c’era allora, quanto entusiasmo, quante rabbie sacrosante! Soprattutto c’era lo sforzo di capire la realtà del paese e di interpretarla. E tra avversari ci si stimava. De Gasperi stimava Togliatti e Nenni e, al di là delle asprezze polemiche, ne era ricambiato”. “I partiti,” continuò Berlinguer, “hanno degenerato e questa è l’origine dei malanni d’Italia”.

Non erano anni facili: c’era appena stata la strage alla stazione di Bologna (2 agosto 1980); le precedenti stragi neofasciste (Piazza Fontana, Brescia, quella in via Fatebenefratelli anche detta strage della questura di Milano) e poi ancora prima Portella della Ginestra, Peteano e via elencando. Caso principale della sua esperienza politica fu il rapimento e l’omicidio dell’onorevole Aldo Moro e il conseguente smantellamento del ‘compromesso storico’, passo decisivo del Partito Comunista Italiano nel suo percorso di distacco dalla linea sovietica. Ma l’uccisione di Moro mostra la vera natura della politica italiana, ridotta a feticcio del padrone d’oltreoceano e incapace di risolvere i problemi della crisi politica. Alla fine del 1982 Berlinguer dichiara di avvertire la crescita di un divario tra notevoli strati della popolazione e i partiti, e dice questo quando il PCI ha quasi il 30 per cento dei consensi elettorali.

Le recenti elezioni hanno dimostrato che ci sono partiti che non arrivano neppure ad avere il minimo per superare la soglia di sbarramento e dicono di rappresentare le masse popolari. Berlinguer si rese conto allora dell’avanzata di una “democrazia dei consumi” o ancora meglio della “democrazia senza democrazia” che ha nei mezzi di comunicazione di massa, e in particolare nei canali televisivi, i suoi principali strumenti e che gioca quasi esclusivamente di rimessa di fronte all’attacco della destra berlusconiana. Una destra ancora viva e vegeta nonostante la morte del suo fondatore Silvio Berlusconi. A tal proposito è bene ricordare quell’espressione che indica la necessità di non utilizzare il potere pubblico per celare delitti e ricercare vantaggi personali: la temutissima questione morale. Quest’ultima disse Berlinguer, “non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono provare d’essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche”.

Parafrasando: un tempo in Italia se qualcuno veniva beccato dalle forze dell’ordine con le mazzette in mano gli italiani commentavano: ‘È un delinquente’. Oggi: ‘Lo hanno incastrato’. Ma chi lo ha incastrato? La magistratura e le forze dell’ordine. Per questo la nuova cavalleria garantista con in testa Carlo Nordio corre verso l’obbiettivo massimo della legislatura attuale: mettere un paio di ganasce al pm e rendere i giudici dei candidi fogli bianchi su cui scrivere quello che più aggrada alla politica di turno.

Sulla scena si sono intanto aggiunti i ‘figli del manganello’ che al posto del dibattito preferiscono i colpi della maggioranza e la repressione del dissenso popolare a suon di cariche. Oggi il dibattito si misura nella prevalenza degli obbiettivi privati e personali di molti politici, che dimenticano quella che, al di là delle ideologie, dovrebbe essere la missione del servizio pubblico per un futuro che riguardi tutta la comunità nazionale.

Enrico Berlinguer era un uomo di altri tempi. Un uomo di spessore che in pochi ricordano veramente, malgrado ai suoi funerali parteciparono quasi 2 milioni di persone solo a Roma, in piazza San Giovanni. Nonostante il passare del tempo le sue parole rimangono più che mai attuali. Ed è drammatico guardare come l’Italia di oggi, assieme all’Europa, sia piombata in un oscuro pozzo politico e con una guerra alle porte. Concludendo, Berlinguer da morto è stato incensato ma ormai completamente dimenticato: lui, la sua “questione morale” e la visione di una politica nuova, o meglio, dell’unica vera visione della politica. Quella della pace e del servizio alla collettività.

(fonte: antimafiaduemila.com – Luca Grossi)