di Ivana Risitano – Ho avuto tra le mani queste parole molte volte. Le ho prese dal cassetto, sfiorate, toccate, spremute, guardate da angolazioni differenti; le ho riempite dei miei sensi e significati, le ho interrogate su tutti i loro sensi e significati. Le ho viste autunnali e primaverili, piene di energia e disperate. Le ho associate al volto di Vik, alla bandiera della Palestina sventolante da una barca; le ho pensate per la politica, per i drammi del mondo, per quelli intimi e per la sempiterna sfida delle relazioni tra persone. Non ho creduto di bestemmiarle. Oggi che persino una pubblicità le ha trasformate in slogan fuori contesto, sento l’esigenza di riprenderle in mano, come si prende un oggetto prezioso che un tempo era brillante, ma ora è reso opaco da una coltre di polvere.
Sono passati dieci anni dall’assassinio di Vittorio Arrigoni,(15 aprile 2011-15 aprile 2021) e queste sue parole – una sua filosofia di vita, ma forse anche il denso e dolce urlo del suo anelito, insieme denuncia e speranza – hanno avuto il potere di un polline. Lui è morto, sì: ma ha generato fiori. Ho sentito dire più volte: “Basta con questa frase”. E l’ho sentito dire a persone che ne condividono l’anima, ma che sono legittimamente impaurite dal suo abuso e dalla sua usura. Io nei “mantra” invece ci credo: credo nel loro potere trasformativo, nella loro attualità sempre rigenerata.
E vorrei ridirlo scandendo ogni sillaba, vorrei ridirlo inspirando ed espirando, e in ogni respiro portando il senso di frustrazione e la sete di vita. Vorrei dirlo ancora, oggi come ieri e come domani, mettendoci dentro il dramma di ogni sopraffazione, la rabbia per la perversione del potere, la paura di fronte alla violenza. Vorrei dirlo provando a risentire dentro la speranza che non tutto è perduto, anche se il mondo, da troppo ormai, gira in un verso criminale. Vorrei dirlo ancora una volta, in tempo di pandemia, mentre perdiamo il contatto e l’angoscia ci risucchia e ci desensibilizza.
Vorrei dirlo pensando che non basta “restare”: occorre “ridiventare”, perché troppo spesso siamo mostri l’uno per l’altro. Voglio dirlo ancora, con la sacralità con cui si dicono quelle parole sempre uguali e sempre diverse: perché, al di là di ogni dottrina o fede, essere ciò per cui siamo al mondo, essere pienamente noi, senza risparmiarci, è cosa che dimentichiamo. In mezzo alla folla, uno ti chiama per nome: ti riconosce, ti ricorda chi sei.
In mezzo alla disumanità, una frase a cui le orecchie si sono assuefatte: “restiamo umani”, ricordiamoci chi siamo. Costruttori di vita o complici di morte? Scegliamo da che parte stare.