“Uomini, donne e bambini ucraini in fuga dalla guerra scatenata dalla Russia non vengono quasi mai definiti profughi ma sono chiamati il popolo ucraino; tutti gli altri disperati, che scappano da altri luoghi di conflitti bellici sono solo i migranti, gente alla quale non viene data un’identità, ma guardata con fastidio e sospetto per il colore diverso della pelle”. Lo ha detto Tareke Brahne, presidente del comitato 3 ottobre, organizzazione non profit fondata all’indomani del naufragio di Lampedusa del 2013, quando 368 persone persero la vita.
Brahne stamattina ha partecipato al Teatro Savio ad un incontro organizzato dal Liceo De Cosmi di Palermo. Di origini eritree, Tareke, che vive oggi a Roma, è fuggito dal proprio paese a 17 anni, per evitare la coscrizione a vita, andando incontro a violenze, prigionia e rischiando di morire. È arrivato in Italia nel 2005, dopo essere stato respinto al primo tentativo di attraversare il mar Mediterraneo. In particolare ha lavorato come mediatore culturale a Lampedusa e nell’Italia meridionale per Save the Children e Medici Senza Frontiere. Nel 2014, durante il XIV Summit dei Premi Nobel per la Pace, ha ricevuto la medaglia per l’Attivismo Sociale. Oggi ha portato la sua testimonianza ai ragazzi del liceo, che è inserito in una rete di scuole italiane ed estere e presente a Lampedusa nel progetto “Siamo sulla stessa barca”. Gli allievi del De Cosmi che partecipano anche alla staffetta delle scuole per la Pace sull’urgenza della drammatica situazione in Ucraina e nel mondo, hanno rivolto tante domande a Tareke.
” Solo con l’impegno attivo – ha affermato Brahne – si può tentare di sconfiggere l’indifferenza, ostacolo per la libertà e la dignità di tutti gli uomini. E ha invitato i ragazzi a informarsi e conoscere prima di giudicare”.