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Profeta scomodo

Commento di Fra Marcello e Suor Cristiana Scandura

Lunedì della III settimana di Quaresima

Letture: 2Re 5,1-15; Sal 41 e 42; Lc 4,24-30

Riflessione biblica

“In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria” (Lc 4,24-30). Non lo fu Elia, se ne lamentò: “Io sono rimasto solo, come profeta del Signore, mentre i profeti di Baal sono quattrocentocinquanta” (1Re 18,22) e dovette fuggire alle minacce di Gezabele (1Re 19,2-3). La stessa cosa avvenne ad Eliseo, che, nonostante i suoi prodigi, venne insultato da alcuni ragazzi (2Re 2,23-24). Tale sorte divenne proverbiale: “Nessun profeta è bene accetto nella sua patria”. Speriamo che non accada anche a noi e che Gesù non abbia a dire: “Le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono” (Gv 6,63-64). Purtroppo, Gesù “profeta potente in parole e opere”, non è stato riconosciuto dai suoi concittadini di Nazareth e, lungo la storia, anche da coloro che appartengono al gruppo dei suoi discepoli. Affascinati in un primo momento dal suo “lieto messaggio” di grazia e di libertà ai poveri, ai prigionieri e ai bisognosi, ci si pone alla sua sequela, ma, lungo il cammino di rinnegamento di noi stessi e del prendere la nostra croce, avvengono ripensamenti e pretese di privilegi. “Medico, cura te stesso”: cioè realizza in noi tuoi discepoli i prodigi del tuo amore. C’è un tentativo di appropriarci di Gesù e di piegarlo ai nostri bisogni e desideri. Gesù passa in mezzo a noi e ci dice: Non siate “sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti e alla mia parola” (Lc 24,25). Venite dietro di me, partecipate alla mia sofferente opera di salvezza, lasciatevi guidare dal mio Spirito di santità, per “completare in voi le mie sofferenze” (Col 1,24) ed entrare così nella mia gloria. Infatti, “è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio” (At 14,22).

Lettura esistenziale

“In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria” (Lc 4, 24). Dopo che Gesù, all’età di circa trent’anni, aveva lasciato Nazareth e già da un po’ di tempo predicava e operava guarigioni altrove, ritornò una volta al suo paese e si mise ad insegnare nella sinagoga. I suoi concittadini «rimanevano stupiti» per la sua sapienza e, conoscendolo come il «figlio di Maria», il «falegname», invece di accoglierlo con fede si scandalizzavano di Lui (cfr Mc 6, 2-3). Questo fatto è comprensibile, perché la familiarità sul piano umano rende difficile andare oltre le apparenze e aprirsi alla dimensione divina. Dall’espressione che Gesù pronuncia, sembra che si faccia una ragione della cattiva accoglienza che incontra a Nazareth. Invece, alla fine del racconto, troviamo un’osservazione che dice proprio il contrario. Scrive l’Evangelista Marco che Gesù «si meravigliava della loro incredulità» (Mc 6, 6). Allo stupore dei concittadini, che si scandalizzano, corrisponde la meraviglia di Gesù. Anche Lui, in un certo senso, si scandalizza! Malgrado sappia che nessun profeta è bene accetto in patria, tuttavia la chiusura del cuore della sua gente lo addolora: come è possibile che non riconoscano la luce della Verità? Perché non si aprono alla bontà di Dio, che ha voluto condividere la nostra umanità? In effetti, l’uomo Gesù di Nazareth è la trasparenza di Dio, in Lui Dio abita pienamente. E mentre noi cerchiamo sempre altri segni, altri prodigi, non ci accorgiamo che il vero Segno è Lui: Dio fatto carne. È Lui il più grande miracolo dell’universo: tutto l’amore di Dio racchiuso in un cuore umano, in un volto d’uomo. Colei che ha compreso veramente questa realtà è la Vergine Maria. Maria non si è scandalizzata di suo Figlio: la sua meraviglia per Lui è piena di fede, piena d’amore e di gioia, nel vederlo così umano e insieme così divino. Impariamo quindi da lei, nostra Madre nella fede, a riconoscere nell’umanità di Cristo la perfetta rivelazione di Dio.

 

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