• 8 Settembre 2024 2:01

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Il tempo è scaduto al processo Montante, la prescrizione salva il presidente della Regione Renato Schifani, che è accusato di concorso esterno in associazione a delinquere semplice e rivelazione di notizie riservate. Il tribunale di Caltanissetta ha letto un’ordinanza in aula, che riguarda pure il tributarista Angelo Cuva, pure lui accusato di essere una talpa dell’ex leader di Confindustria.

Adesso, Schifani e Cuva possono decidere di rinunciare alla prescrizione e consentire che il giudizio nei loro confronti vada avanti. Un altro imputato l’ha fatto, il colonnello dei carabinieri Letterio Romeo (accusato di avere occultato una relazione di servizio su Montante) ha sempre ribadito la sua innocenza e ha detto ai giudici che vuole essere assolto nel merito da questa brutta storia. Altri imputati del processo hanno invece accolto a braccia aperte la prescrizione. Ad esempio, Carlo La Rotonda, ex direttore di Confindustria centro Sicilia, o lo stesso Montante, per un altro capo d’imputazione, una truffa all’Inps. Stessa scelta hanno fatto i titolari di un’agenzia di investigazioni.

Il governatore Schifani non ha ancora fatto sapere nulla sulla prescrizione. Il suo avvocato, Roberto Tricoli, si limita a dire: «Valuteremo». Di certo, al momento, c’è solo che il presidente della Regione ha sempre negato di avere favorito Montante. Renato Schifani è accusato “in concorso” con Angelo Cuva (l’avvocato tributarista che il sindaco Roberto Lagalla ha voluto accanto a sé il giorno della firma del protocollo di legalità sul Pnrr), anche per Cuva è scattata la prescrizione.

Le accuse

E’ una storia che risale al gennaio del 2016. In quei giorni frenetici, il colonnello Giuseppe D’Agata (ex capocentro della Dia di Palermo all’epoca ai servizi segreti) fremeva per parlare con Cuva, con la scusa di una sentenza. Il tributarista rinviava sempre l’incontro, perché aspettava notizie – così diceva – dal “professore Scaglione”: «Fine settimana spero di vederlo e poi vedo un po’ sta sentenza», disse infine il 21 gennaio e non sospettava di essere intercettato dagli investigatori della squadra mobile di Caltanissetta. Per l’accusa, Scaglione era un nome in codice per indicare Schifani. E non c’era alcuna “sentenza” da vedere. Il colonnello era in agitazione. Il 24 gennaio chiese ancora a Cuva: «Poi da Scaglione ci sei passato?». E Cuva: «Sì, l’ho salutato… così… m’ha detto… niente». E spiegava che si erano dati un altro appuntamento. Qualche giorno dopo, a Palermo, Cuva avrebbe detto a D’Agata che era intercettato. Durante il viaggio di ritorno, l’ufficiale diceva alla moglie: «Noi dobbiamo dire al telefono le cose che ci convengono».

Prima di arrivare a Palermo, invece, era la moglie di D’Agata che aveva fatto riferimento a Schifani. E non solo a lui, anche al “generale”, ovvero il capo di suo marito, Arturo Esposito, pure lui oggi imputato nel processo. Diceva: «Si iddu ciù cunta a Schifani, si sapi ca Schifani parra cu tia, no?». Se a lui lo racconta a Schifani, si sa che Schifani parla con te, no? E il marito replicava: «Sì, tramite Angelo, lo sa». Angelo è Angelo Cuva. E la moglie, ancora: «Quindi, ti sta mandando a dire, praticamente ste cose, ma perché non te le dice lui, ma te le manda a dire?». Un dialogo illuminante, secondo la procura di Caltanissetta. Commentava il colonnello D’Agata: «Perché non vuole che domani, se esce fuori sta cosa è lui…». La moglie ribadiva: «Dice, io non gliel’ho detto». E ancora altre considerazioni che sono finite nell’atto d’accusa: «Secondo me ti sta dando delle istruzioni su cosa fare (…) No, perché lui dice, se questo cappotta, mi fa cappottare a me».

Il processo

Fra le carte di Montante è stato poi trovato un appunto dalla polizia. «13 settembre 2012. Ore 20,30 cena Arturo Esposito poi incontrato Schifani e Vicari». Un appunto che smentirebbe quanto Schifani ha sempre detto, di «non aver mai avuto rapporti di amicizia e frequentazione» con l’ex numero uno di Sicindustria.
Non è un processo facile quello di Caltanissetta. Soprattutto per la mole di imputati, trenta. Da una parte il cerchio magico di Montante, formato anche da imprenditori e altri rappresentanti delle forze dell’ordine. Nell’altro cerchio magico, c’è invece la politica dentro un contesto di affari. E imputato è l’ex presidente della Regione Rosario Crocetta. «A Crocetta non gli abbiamo mai fatto sbagliare una mossa», si vantava Montante parlando con le sue fedelissime, Mariella Lo Bello e Maria Grazia Brandara, oggi anche loro imputate. Con altre accuse pesanti: «Associazione a delinquere finalizzata a commettere più reati contro la pubblica amministrazione». Ma la prescrizione potrebbe salvare pure loro.

 

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