Nei primi giorni in cui i dati dell’Istat sul “benessere equo e sostenibile” (Bes) ci consegnano le criticità e le sfide che penalizzano soprattutto i giovani, il messaggio della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro vuole “dare voce” a coloro che silenziosamente ed efficacemente costruiscono la speranza. Sono gli stessi giovani a essere non solo “oggetto” delle preoccupazioni di una politica che tenta di arginare il grave fenomeno della denatalità e della disoccupazione giovanile, ma “soggetto” che, soprattutto nelle aree più povere del Paese, si rende protagonista di una operosità che dona speranza.
Il messaggio della Cei del 1° maggio invita, in un contesto ecclesiale che sempre più si va caratterizzando per l’ascolto sinodale, a intensificare il dialogo con “quelle esperienze cariche di novità e di speranza, come Economy of Francesco (EoF), il Progetto Policoro, le cooperative sociali, le Fondazioni di Comunità, le buone pratiche in campo economico, lavorativo e di microcredito, che sono state censite anche in occasione dell’ultima Settimana Sociale di Taranto”.
Tra i “cantieri di Betania”, che si mettono in ascolto di quello che avviene nei “villaggi” e “lungo la strada”, c’è un mondo popolato dai volti di uomini e donne impegnati a promuovere la giustizia sociale e i diritti dei lavoratori, e tra questi coloro che portano la ricchezza della loro età nella vita del Paese.
Le Chiese che sono in Italia, da ventisette anni hanno fatto proprio un metodo, quello del “Progetto Policoro”, che anima la vita sociale dei territori, li abita, porta in luoghi provati dall’emigrazione e da povertà endemiche, la passione di chi si prende cura del futuro della gente. Ma anche tanta competenza, che sa inventarsi e reinventarsi professioni che rigenerano il capitale umano ed economico dove tutto sembrava destinato a essere fagocitato da logiche di mercato che escludono le periferie.
Tanti territori hanno visto rinascere la speranza con l’inizio di una attività lavorativa, di una piccola impresa, di un progetto audace che ha ridato dignità e ha avviato processi che hanno rinnovato amore alla vita. Queste esperienze progettate e messe in atto in tante imprese, nelle iniziative di EoF si sono tra loro conosciute e “contagiate” di speranza, lasciando intravedere che sono possibili modelli inclusivi.
Questo “giovane Davide” è presente in esperienze di cooperazione e di giovane imprenditorialità, che si misurano quotidianamente con le sfide dell’economia che esclude e che non guarda con lungimiranza neppure all’opportunità di includere quanti approdano in Europa in cerca di speranza; esso è animato da una logica che ha già creato alleanza tra lavoro e cura dell’ambiente, in una visione di ecologia integrale di cui il pianeta ha urgente bisogno. Mentre celebriamo il primo maggio, ci chiediamo cosa manca alla nostra politica e forse anche alla nostra comunità ecclesiale per far sì che si edifichi un “Paese per giovani”, o perlomeno dove essi siano protagonisti non solo di consumi, ma anche di creazione di sviluppo.
Forse il coraggio di scommettere su quanto questi giovani stanno costruendo, e che ha bisogno di spazi in cui i sogni e le loro realizzazioni entrino nel tessuto del Paese, così come Papa Francesco ha auspicato: “La partecipazione è balsamo sulle ferite della democrazia. Vi invito a dare il vostro contributo (…) sempre con il fine e lo stile del servizio”. L’invito rivolto ai giovani può cadere nel vuoto se essi non trovano spazio per esprimersi e per decidere: è la sfida che noi adulti siamo chiamati a raccogliere per il futuro di tutti.
Luigi Renna arcivescovo di Catania e presidente della Commissione Cei problemi sociali e del lavoro
(fonte Avvenire)