“Giovani e lavoro per nutrire la speranza” è il tema della riflessione proposta dai vescovi italiani nel Messaggio per la festa dei lavoratori 2023 (cfr. Allegati, in fondo a questa pagina). Per la Commissione episcopale per i Problemi sociali e il Lavoro, la Giustizia e la Pace che firma il Messaggio, “Ascoltare questi giovani ci aiuta ad incontrarli, assieme a tanti altri che hanno sicuramente molto da dire, ai quali ci offriamo come compagni di viaggio. Vogliamo trovare il modo ed il tempo per sognare il loro stesso sogno di un’economia di pace e non di guerra; un’economia che si prende cura del creato, a servizio della persona, della famiglia e della vita; un’economia che sa prendersi cura di tutti e non lascia indietro nessuno…”.
Le tematiche sono molto vicine alla sensibilità più volte espressa anche dalla Conferenza episcopale siciliana. Ci siamo chiesti cosa significa anche per la nostra terra di Sicilia “nutrire la speranza”. Ne abbiamo parlato con mons. Giuseppe Marciante, vescovo di Cefalù e delegato della Conferenza episcopale siciliana per i Problemi sociali e il Lavoro.
Eccellenza, nel messaggio della CEI, chiedete alla società cristiana e civile di scommettere sulla capacità di futuro dei giovani per nutrire, appunto, la speranza nonostante le tante e complesse difficoltà. Il panorama siciliano, in questo senso, si inserisce pienamente in quello tracciato a livello nazionale. È corretto?
Abbiamo scelto di soffermarci quest’anno sul lavoro giovanile perché è quello in cui è più evidente la crisi. In tal senso anche nella nostra Regione bisogna scommettere sui giovani, i nostri giovani siciliani. Se la situazione siciliana è coincidente con quella nazionale? C’è un divario tra Nord e Sud che salta subito all’occhio leggendo i dati: al Nord si arriva a punte del 70% di occupati, come ad esempio nella provincia di Bolzano, mentre in Sicilia si riduce della metà, perché la percentuale di occupati arriva solo al 40%. Sommando i numeri, per esempio, di Sicilia, Lazio e Campania, l’incidenza dei nuovi disoccupati è del 58% del totale. Questi dati ci danno già l’idea di cosa significhi lavoro al Sud e, nel lavoro al Sud, in particolare quello dei giovani. Questo mi sembra il dato rilevante. Nel Messaggio diciamo subito – e lo riteniamo assai preoccupante – che circa un quarto della popolazione giovanile del nostro Paese non trova lavoro, soprattutto al mezzogiorno. Quindi sì, la nostra realtà si inquadra benissimo nel contesto italiano che abbiamo delineato nel Messaggio.
Nel messaggio per l’1 maggio, è chiesto di sollecitare la politica nazionale e territoriale. In questo senso, in Sicilia, quali sono le possibilità reali e cosa può fare di concreto la Chiesa?
Abbiamo avviato da poco un dialogo con le istituzioni ma non basta perché è assolutamente necessario investire di responsabilità le imprese e le università. Creare un rapporto tra impresa e lavoro, università e lavoro: questo sarebbe importante. Noi vogliamo portare avanti certamente solidarietà e spronare e stimolare i giovani che sono molto scoraggiati, contrastare il precariato che è quello che non dà loro la possibilità di un futuro. Come fa a portare avanti una famiglia un giovane che è lavoratore precario? Come fa ad affrontare un mutuo? Se mai gli venisse concesso, perché i precari non riescono ad ottenere alcun mutuo! Per questo bisogna animare la speranza per il futuro, motivare il significato del lavoro. Non è sapere comune, ma non sempre i giovani sono entusiasti del lavoro che hanno. C’è anche questo aspetto e ci sono delle stime molto interessanti da questo punto di vista: il 46,7% si augura di lasciare il lavoro attuale e il 50% cambierebbe subito lavoro. Non si tratta di capricci, perché talvolta ci sono anche motivi seri, come l’impossibilità di progredire nel lavoro, non ci sono scatti di carriera, non ci sono stimoli. Poi non c’è una retribuzione adeguata, il salario è basso, per esempio, specialmente da noi, in Sicilia, c’è una ridotta rilevanza della qualificazione, si teme di perdere il lavoro da un giorno all’altro… Sono tutti fattori che demotivano i giovani, tolgono l’entusiasmo e certamente preoccupano profondamente. La Chiesa cerca di assumere un ruolo di mediazione con le realtà sociali a tutti livelli, dalla politica fino alle imprese e all’università. Un ruolo di mediazione anche nel rimettere di nuovo al centro il significato del lavoro. Oppure nell’agevolarli con le agenzie di ascolto e di sostegno. Cerchiamo anche creare lavoro attraverso i beni culturali della nostre chiese. Ovviamente il nostro impegno è goccia nell’oceano perché il bisogno è tanto, ma lo facciamo lo stesso. Sarà un segno, ma anche quello è importante. Ciascuno per come può, ciascuno con quello che ha, ma senza restare con le mani in mano.
Fa riferimento alle cooperative che in alcune diocesi – come ad esempio proprio la sua – gestiscono la fruizione di cattedrali e di circuiti di turismo religioso o che utilizzano per fini sociali le strutture in disuso. È corretto? Un’idea che nasce dalla volontà di legare i giovani alla loro terra e permettere che non vadano via, ma che restino e lavorino qui.
Esatto. Un impegno contro il problema dell’emigrazione ch per la Sicilia è assai serio e arriva a comportare anche lo spopolamento delle città. I nostri ragazzi cercano possibilità di futuro altrove, al Nord Italia o anche nel Nord Europa, e questo produce anche un impoverimento della popolazione italiana. Queste sono tutte motivazioni per le quali dobbiamo continuare a nutrire speranza e offrire anche delle prospettive. È da tempo che mettiamo in guardia i nostri politici riguardo il tema dello spopolamento. È cosa seria perché riguarda il futuro della nostra isola, la sua sopravvivenza. È urgente mettere mano ai fondi che vengono dall’Europa in modo intelligente per dare un futuro migliore ai giovani: li dobbiamo investire per creare il lavoro perché non ha senso utilizzarli solo per realizzare un monumento o sistemare le strade.
In Sicilia, c’è una categoria di persone che potremmo definire “giovani di seconda generazione”, cioè giovani adulti, magari con famiglia e mutuo, ormai fuori dai parametri cronologici della gioventù, che non hanno un più un lavoro o hanno un lavoro sottopagato o irregolare o a tempo determinato strettissimo. Uomini e donne della nostra terra che tendono a rimanere zona grigia nella programmazione. Qual è lo sguardo della Chiesa siciliana per loro?
È vero. La situazione è stata cronicizzata nel tempo del Covid, periodo nel quale molti hanno perso il lavoro perché molte aziende hanno chiuso. È un dato drammatico, soprattutto se appaiato alle assunzioni in nero e quindi con un salario che non permette la vita familiare serena e a volte nemmeno dignitosa. Si sono create nuove marginalità. È una difficoltà che ci rimanda a un’altra: la radicale transizione demografica. Secondo il sesto Rapporto Censis sul welfare aziendale che è molto recente e risale al 1 marzo 2023 e che si focalizza sull’occupazione giovanile, progressivamente i giovani lavoratori diminuiscono sempre di più. Nel Messaggio si parla di questa crisi demografica che aggrava la situazione: i giovani diventano sempre più marginali perché numericamente pochi, mentre di contro aumentano gli anziani; tutto ciò grava terribilmente sul cosiddetto ricambio generazionale. Pensi che questo rapporto dice che in 10 anni i lavoratori di età compresa tra i 15 e 34 anni sono diminuiti del 7,6% e quelli di età compresa tra i 35 e 49 anni sono diminuiti del 14,8%. Crescono, invece, gli anziani che andranno in pensione. Ribadisco la drammaticità di questa situazione che, a livello sociale, diventerà un problema serio, un problema anche economico di non facile soluzione. Per questo, come vescovi, diciamo che bisogna nutrire la speranza, perché i dati non ci incoraggiano.
Come nutrirla, allora, questa speranza?
Per nutrire la speranza bisogna fare delle scelte, compiere delle operazioni ben precise. La speranza è che i giovani stessi diventino risorsa, capiscano la situazione ma allo stesso tempo vengano aiutati dai sogni dei vecchi poiché se le speranze sono dei giovani, i sogni sono di noi adulti, della politica e della società civile nella sua interezza. Al futuro dei giovani dobbiamo pensare davvero tutti e tutti insieme.