“Oggi lo sguardo trasversale di Peppino, la sua capacità di cogliere le connessioni dove altri vedono divisioni e opposizioni, ci sarebbe molto utile per uscire da una crisi che nasce anche dagli sguardi miopi o settoriali di molta politica ed economia, sguardi incapaci, come dice Papa Francesco, non solo di progettare ma di concepire un vero cambiamento”. Lo dice don Luigi Ciotti, presidente di Libera e del Gruppo Abele, ricordando Peppino Impastato alla vigilia dell’anniversario del suo assassinio, 43 anni fa.
“Più passa il tempo più il vuoto di Peppino si fa sentire. Un vuoto umano e sociale, che abbiamo cercato di colmare con l’impegno nel nome suo e di mamma Felicia. Ma un vuoto anche culturale. Sì, perché Peppino è stato uno dei primi a capire la necessità di uno sguardo ‘meticcio’, capace di collegare la sfera etica, estetica e politica per ricavarne sintesi innovative”. Uno sguardo che “sapesse collocare il fenomeno mafioso in un più ampio orizzonte di decadenza culturale, di perdita di senso del Bello, del Vero, del Giusto”.
Secondo don Ciotti, uno guardo “capace di provocare coscienze addormentate o addomesticate – dunque indirettamente complici – per richiamarle a un impegno che non può essere considerato un ‘optional’ essendo la spina dorsale della cittadinanza democratica”.
“Non si può essere democratici a intermittenza o solo quando torna comodo: la democrazia è una responsabilità a tempo pieno, una responsabilità che solo così diventa esercizio di libertà”, è il monito di don Ciotti, secondo cui “oggi Peppino non si stancherebbe di evidenziare la sostanziale differenza tra cambiamento e adattamento”.
“L’adattamento è una risorsa di fronte ad avversità indipendenti dalla nostra volontà. Ma le ingiustizie, la corruzione e le mafie non sono fenomeni naturali, sono mali sociali frutto di nostre azioni e omissioni. Mali che richiedono quel cambiamento profondo – interiore e sociale al tempo stesso – di cui tutta la vita di Peppino è stata testimone”.