Sappiamo fermarci durante le nostre giornate, trovare un po’ di “deserto interiore” in mezzo al frastuono quotidiano? Oppure presi dalla fretta, dall’ansia di fare, non riusciamo a prenderci nemmeno un momento per stare con noi stessi e con Dio? Sono gli interrogativi che il Papa pone all’Angelus ai fedeli in Piazza San Pietro, tanti, nonostante il caldo torrido che avvolge Roma, e a chi lo ascolta commentare il Vangelo di Marco in ogni parte del mondo attraverso radio e tv. Un brano, quello odierno, che si fonda sul binomio riposo-compassione, due termini etimologicamente distanti eppure così connessi dal punto di vista spirituale.
Non cadere vittime dell’attivismo
Gli apostoli, narra l’Evangelista, tornati dalla missione raccontano a Gesù quello che avevano fatto, e Lui li chiama in disparte, in un luogo isolato, per farli riposare, poi però vedendo la folla che lo aspetta, “ne sente compassione e si mette ad insegnare”.
Gesù si preoccupa della stanchezza dei discepoli. Forse sta cogliendo un pericolo che può riguardare anche la nostra vita e il nostro apostolato, quando ad esempio l’entusiasmo nel portare avanti la missione o il lavoro, così come il ruolo e i compiti che ci sono affidati ci rendono vittime dell’attivismo, e questa è una cosa brutta: troppo preoccupati delle cose da fare e dei risultati. E allora succede che ci agitiamo e perdiamo di vista l’essenziale, rischiando di esaurire le nostre energie e di cadere nella stanchezza del corpo e dello spirito. È un monito importante per la nostra vita, per la nostra società spesso prigioniera della fretta, ma anche per la Chiesa e per il servizio pastorale: fratelli e sorelle stiamo attenti alla dittatura del fare!
La dittatura del fare – afferma il Papa – può colpire per necessità, anche le famiglie, “quando per esempio il papà per guadagnare il pane è costretto ad assentarsi per lavoro dovendo così sacrificare il tempo da dedicare alla famiglia”. Mamma e papà, spesso escono al mattino presto quando i bambini stanno ancora dormendo e tornano tardi la sera, quando sono già a letto. “E questa – incalza il Successore di Pietro – è un’ingiustizia sociale! Pensiamo cosa possiamo fare per aiutare le persone che sono costrette a vivere così”.
Imparare a riposare per avere compassione dei bisognosi
Francesco ribadisce che il riposo non è e non deve però essere una fuga dal mondo, una forma di egoismo che ci porta a rintanarci nel benessere personale, ma è stare con Dio, è un “riposare nello Spirito”, poiché solo in questo modo avremo occhi attenti e pieni di compassione per le persone bisognose e smarrite e saremo realmente disponibili per gli altri.
Infatti, è possibile avere uno sguardo compassionevole, che sa cogliere i bisogni dell’altro, soltanto se il nostro cuore non è consumato dall’ansia del fare, se sappiamo fermarci e, nel silenzio dell’adorazione, ricevere la Grazia di Dio.