Cos’hanno in comune padre Pino Puglisi e fratel Biagio Conte? L’incontro decisivo con la persona di Cristo, che li ha portati a fare una scelta di donazione totale di se stessi. Due uomini che nella grazia sacramentale del battesimo hanno trovato la forza per compiere pienamente il disegno di Dio nella loro vita, facendosi plasmare dal Vangelo fino a incarnarlo.
Della loro testimonianza, del loro esempio per una Chiesa – quella palermitana, in primo luogo – chiamata a seguirne le orme, si è parlato ieri nel corso di un convegno dal titolo “Il Vangelo nella città: padre Pino Puglisi e Fratel Biagio”, tenutosi presso la Facoltà Teologica di Sicilia e promosso dall’Ufficio diocesano per la Pastorale sociale e del lavoro, dal Centro diocesano Padre Puglisi e dalla Consulta per le aggregazioni laicali.
Ad aprire il dibattito è stato Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio e studioso della storia della Chiesa, che ha riletto le tappe del martirio e della beatificazione di padre Pino Puglisi, in occasione del trentesimo anniversario della sua uccisione. Un percorso travagliato, come spesso accade ai martiri contemporanei, “spesso sporcati da calunnie e maldicenze, messe in giro da chi, nel caso di 3P, aveva paura dell’impegno di un piccolo prete che cercava di liberare le persone dal potere della mafia”.
Anche in questo caso, però, la mafia non ha vinto, come ha rimarcato Vincenzo Ceruso, segretario della Consulta delle aggregazioni laicali. Anzi. La beatificazione di padre Pino ha aperto la strada alla canonizzazione di altri martiri, come quella di monsignor Óscar Romero, vescovo salvadoregno, ucciso mentre stava celebrando la Messa per avere difeso il suo popolo dalla violenza e dagli abusi del potere politico, economico e militare del Paese sudamericano. E se talvolta, nel corso della storia, si è avuta la sensazione di una Chiesa troppo timida nel testimoniare il potere liberante del Vangelo, è necessario che l’esempio di padre Pino diventi “narrazione decisiva”, quasi alla maniera delle Scritture. “La Chiesa deve, non solo stigmatizzare la mafia, ma annunciare e testimoniare la pienezza di vita che è donata”, ha sottolineato Riccardi, riprendendo uno scritto di don Cataldo Naro. Proprio come ha fatto don Pino, “un cristiano che credeva che il mondo si potesse cambiare con un’umanità abitata dal Vangelo”.
Anche guardando fratel Biagio Conte si aveva la certezza di essere al cospetto di un “Vangelo vivente”, come ebbe a dire il pastore che lo accolse durante il suo primo periodo di eremitaggio, lontano dagli agi palermitani. Lo sa bene don Pino Vitrano, che ha accompagnato il missionario laico fin dalla fondazione della Missione Speranza e Carità e che, dopo la morte del “folle di Dio”, ha deciso di indossare il saio e di proseguirne l’opera. Nel corso dell’incontro, a cui era presente un folto gruppo di studenti, don Pino ha ripercorso alcune tappe significative della vicenda umana di fratel Biagio, dalla prima croce piantata nel quartiere Sperone, appena di ritorno da Assisi, fino alla marcia che in cinque anni lo portò a girare prima l’Italia e poi molti paesi europei con la croce sulle spalle. Un cammino, quello di fratel Biagio, che si può comprendere solo alla luce della fede. Solo in questo modo, del resto, si può comprendere la scelta di amare il prossimo come se stesso, sia esso un senzatetto, un alcolizzato o una prostituta. Solo così è possibile capire la scelta di farsi povero con i poveri, proprio come Francesco d’Assisi. Al piccolo servo inutile, inoltre, la Facoltà Teologica dedicherà un percorso di approfondimento per riflettere sull’importanza della sua diaconia. Questo perché, ha detto don Vito Impellizzeri, direttore dell’Istituto Superiore di Scienze religiose della Facoltà Teologica, “è nella carne di fratel Biagio che troviamo il legame tra i poveri e il Risorto”.
In chiusura l’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, ha dato lettura di un testo autobiografico, con molta probabilità attribuibile a padre Pino Puglisi, che ancora una volta offre la cifra della scelta dal martire palermitano: andare incontro al proprio destino d’amore, dando la vita per Cristo e per gli uomini suoi fratelli.
(Fonte: portadiservizio.it)