Nell’omelia durante la Celebrazione Eucaristica di ieri, Santo Stefano primo diacono, l’arcivescovo di Monreale, Mons. Gualtiero Isacchi, ha ordinato diaconi i seminaristi Luca Capuano, Savino D’Araio e Daniele Fiore.
Di seguito l’omelia di Mons. Isacchi
La gioia della Chiesa per la nascita di Gesù riempie ancora, con i suoi segni, questa nostra bellissima cattedrale e ancor di più, riempie i nostri poveri cuori.
«Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace sulla terra agli uomini amati dal Signore», il canto degli angeli che ha mosso i pastori fino alla contemplazione del Dio-fatto-uomo, accompagna anche noi all’incontro con Gesù e alla sua sequela.
La gioia è ancor più accresciuta nella nostra Chiesa di Monreale perché tre nostri giovani, Luca, Savino e Daniele, oggi saranno ordinati diaconi. Questa gaudio pervade anzitutto i loro genitori, che saluto e ringrazio per la disponibilità a collaborare al progetto di Dio sui loro figli: continuate ad essere generosi e lasciate che i vostri figli siano sempre più del Signore; voi lo sapete, il passo qualificante dell’essere genitore è il “lasciare andare”: oggi, forse più che mai, voi fate esperienza del fatto che ogni figlio è dono Dio, non vi appartiene, a Lui va restituito. Permettetemi un saluto particolare al papà di Luca costretto a casa dal Covid, lui più di tutti sperimenta la fatica e la gioia del “lasciare andare”.
La stessa gioia che pervade tutti i famigliari, oggi riempie anche il cuore del vescovo del presbiterio, del diaconio e di tutta la Chiesa locale. Siete i primi giovani che ordino diaconi, siete un dono che io ho trovato maturo ed ora raccolgo. Nel vangelo di Giovanni, Gesù, citando un proverbio, dice: «Uno semina e l’altro miete» (Gv 4,37). Sento, in questo momento, il bisogno di ricordare con gratitudine il vescovo Michele Pennisi che vi ha accolti in seminario e vi ha accompagnati attraverso il servizio del rettore e dei suoi collaboratori che tutti ringrazio.
Per tutto questo, lodiamo il Signore nell’intimo del cuore e lo ringraziamo con le parole che ci ha proposto il salmista: «Esulterò e gioirò per la tua grazia, perché hai guardato alla mia miseria».
Carissimi, non dobbiamo mai dimenticare che questa gioia, che ci pervade tutti, ha come unica fonte Gesù fatto uomo! Ci ricorda Papa Francesco all’inizio di Evangelii Gaudium: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia”. Cari Luca, Savino e Daniele non è questa la vostra esperienza? Per restare uomini gioiosi continuate a cercare Lui, a seguirlo e adorarlo.
In questo clima di gaudio, la festa liturgica che stiamo celebrando, potrebbe, ad uno sguardo superficiale, apparire non inappropriata. La prima lettura parla dell’uccisione violenta di uomo, Stefano primo martire della Chiesa; il vangelo parla di difficoltà, di opposizioni anche famigliari: «il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio… sarete odiati da tutti a causa mia». Tutto questo sembra stridere soprattutto con l’ondata di buonismo, con le nostre strade addobbate e le nostre tavole imbandite che travolgono il nostro Natale. In realtà, la festa di Santo Stefano ci aiuta a non dimenticare che il Dio fatto bambino non riceve una grande accoglienza. Egli disturba, spiazza, sconcerta, scuote, imbarazza, impegna. Altro è pregare un Dio lontano, nell’iperuranio, che dall’alto intercede per noi, altro accogliere un Dio indifeso che ci chiede di prenderci cura di lui, di servirlo.
È proprio questa scelta di Dio che ci impone uno sguardo diverso sulla realtà. Uno sguardo capace di andare in profondità nella comprensione della storia e del quotidiano. Uno sguardo che si chiama contemplazione.
È questo il primo atteggiamento che il mistero dell’Incarnazione esige da ogni persona: l’essere contemplativi. Si tratta di vedere un bambino deposto in una mangiatoia e riconoscervi il Signore della vita; vedere un uomo che muore in croce e riconoscervi la vittoria della vita sulla morte; vedere un uomo lapidato e riconoscervi la forza dell’amore che vince il male; vedere tre giovani ordinati diaconi e riconoscervi l’azione di grazia con cui Dio dona speranza alla Chiesa e al mondo intero.
Cari Luca, Savino e Daniele, con il vostro sì di quest’oggi, non vi impegnerete a fare delle cose, ma ad essere “contemplativi della carne”, e testimoni, per il mondo intero, di ciò che contemplate. La vostra santità, dono battesimale, è oggi posta sul monte del servizio perché possiate illuminare ogni uomo e ogni donna con la μαρτυρία della vostra vita.
“Diacono”, lo sapete, è una parola di origine greca abitualmente tradotta in lingua italiana con “servo”. Sembra che Platone abbia una volta esclamato: «Come può un uomo servire ed essere felice?». L’ideale greco, infatti, era l’uomo libero. Il servo, invece, è sempre alla dipendenza di un altro! La decisione di essere totalmente per un Altro e per gli altri lo esprimerete tra poco con un gesto, che è quello di mettere le vostre mani tra le mani del vescovo e, alla domanda “Prometti a me e ai miei successori filiale rispetto ed obbedienza?”, risponderete: “Sì, lo prometto”.
Con questo gesto decidete di non essere più vostri, di non appartenervi più, di abbandonarvi alla volontà di Dio, di vivere come Gesù “fuori da voi stessi”, dai vostri interessi, dai vostri progetti, dai vostri bisogni, dal vostro egoismo.
In questo modo, vi porrete sulla scia di santo Stefano, il primo di tanti altri testimoni di Cristo, per portare la luce nelle tenebre, per rispondere al male con il bene, per non cedere alla violenza e alla menzogna rompendo la spirale dell’odio con la mitezza dell’amore. Così sarete strumenti di Dio per accendere l’alba dell’Amore nella notte del mondo.
Essere diaconi, quindi, non significhi per voi assumere degli impegni, avere delle cose da fare, dei compiti da svolgere. Significhi piuttosto essere contemplativi della presenza di Dio in mezzo a noi e testimoni della sua compagnia, del suo essere Dio-con-noi.
Concludo con un’ultima sottolineatura. Cari Luca, Savino e Daniele, dopo l’imposizione delle mani e la preghiera di ordinazione, quando sarete già rivestiti della dalmatica, metterò nelle mani di ciascuno di voi il libro dei Vangeli dicendo: “Ricevi il Vangelo di Cristo, del quale sei divenuto l’annunziatore”. Ricevendo il Vangelo, tuffatevi in quell’acqua sorgiva; immergetevi nel puro Vangelo, nel nudo Vangelo, nel santo Vangelo. Uscitene grondanti e aspergetelo sul mondo inaridito. Ricordate: un vangelo a misura d’uomo è imbroglio, non è vangelo!
Il ministero che vi è affidato è sproporzionato, nessuno ne è mai stato all’altezza né mai lo sarà. La vostra unica forza è la Parola di Dio che oggi vi dice: «non preoccupatevi di come o di cosa direte … non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi».
Preghiamo per questi nostri figli, perché il Signore li colmi della sua grazia e, sull’esempio di Santo Stefano siano autentici testimoni del Dio-con-noi.