Se è vero che i soldi non danno la felicità, ancora più certo è che la povertà genera tristezza, preoccupazione, pessimismo. Provoca uno stress che quando la condizione di bisogno si prolunga, fino a cronicizzarsi – finisce per incidere pesantemente sulla psiche delle persone. Secondo alcuni studi scientifici la miseria non solo modifica i comportamenti, ma incide fino a ridurre la “larghezza di banda cognitiva”, condizionando così la capacità di concentrazione e la memoria. La povertà insomma “ammala”. E rende incapaci di pianificare, di proiettarsi nel futuro in una condizione differente, migliore.
Per dirlo con le parole di chi i poveri li incontra e li ascolta tutti i giorni, come gli operatori Caritas che hanno contribuito a redigere quest’ultimo Rapporto su povertà ed esclusione sociale: «Il perdurare nel tempo della condizione di bisogno rende difficile immaginare uno scenario di uscita da questo stato per la persona in povertà a causa dell’erosione di quel capitale progettuale che può essere definito la “capacità di aspirare”». Privi dei beni necessari, schiacciati dalle preoccupazioni a brevissimo termine – “riuscirò a comprare da mangiare domani? A saldare la bolletta della luce? A pagare l’affitto ed evitare lo sfratto?” – i poveri insomma finiscono per perdere la capacità di pensarsi altro. E ciò rende ancora più complesso rompere la spirale della povertà e proporre azioni di accompagnamento realmente promozionali, di spinta al miglioramento.
Si potrebbe pensare che sia un fenomeno limitato a qualche clochard, alzare le spalle e chiudere gli occhi per l’ennesima volta. Ma non è così. Per convincersene è sufficiente prendere in considerazione altri tre fattori. Il primo è che la condizione di povertà purtroppo si eredita più della ricchezza, tanto che buona parte degli assistiti adulti della Caritas proviene da famiglie in cui preesisteva uno stato di bisogno. Il secondo è l’alto numero di minori in povertà assoluta: 1,3 milioni di ragazzi, una porzione significativa di popolazione che parte fortemente svantaggiata e il cui destino da adulti rischia di essere segnato, visto che l’“ascensore sociale” è fermo da tempo nel nostro Paese. Aggiungiamoci pure quanto pesantemente può incidere la povertà dei genitori, la malnutrizione, il vivere in ambienti domestici inadeguati o malsani, nello sviluppo fisico e psichico di un bambino, sapendo come siano fondamentali in questo senso i primi mille giorni di vita dal concepimento.
Il terzo fattore è lo stretto legame tra povertà economica e povertà educativa: oltre i due terzi degli assistiti Caritas non va oltre il diploma di terza media e tra loro sono prevalenti coloro che si sono fermati alle elementari o sono analfabeti. Non solo la loro uscita dalla condizione di povertà è difficilissima, ma quasi altrettanto rischia di esserlo quella dei figli, visto che nel nostro Paese il livello di istruzione dei giovani è fortemente correlato a quello di padri e madri.
Nell’ultimo anno le politiche di contrasto alla povertà, con l’abolizione del Reddito di cittadinanza, sono state fortemente ridimensionate e limitate a meno del 30% dei poveri assoluti. Il criterio dell’universalità è stato cancellato e si è scelto – sotto questo aspetto assai positivamente – di mirare i sostegni ai nuclei familiari con figli, con l’intento di spingere invece i singoli ad attivarsi per trovare un’occupazione. Le politiche attive per favorire questo processo, però, risultano insufficienti, così come si avverte la necessità di un grande investimento in istruzione e formazione, nel contrasto all’abbandono scolastico e nel sostegno agli studi non solo dei più meritevoli, ma di quanti più ragazzi possibile se vogliamo davvero contrastare la miseria crescente nel nostro Paese.
Nei poveri, dunque, a poco a poco muore il “diritto di aspirare”. Che è come vederli spogliati dell’ultimo, inalienabile, bene: la speranza. Far sì che questa non si spenga del tutto, che le persone abbiano ancora la libertà di essere in qualche modo artefici del proprio destino, è certamente compito primario di politica e istituzioni. Ma non di meno nostro: assicurare libertà e donare speranza sono l’obiettivo primo della solidarietà, l’essenza della Carità.
(fonte Avvenire – Francesco Riccardi)