Commento di Fra Marcello Buscemi e Suor Cristiana Scandura
Venerdì della VI settimana di Pasqua
Letture: At 18,9-18; Sal 46; Gv 16,20-23
Riflessione biblica
“Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia” (Gv 16,20.23). Sono parole di Gesù, pronunciate prima della sua passione e morte, ma anche della sua risurrezione e glorificazione. Parole pesanti, ma secondo il progetto di Dio: c’è in esse tristezza e gioia, passione e gloria, tanto che Gesù può affermare: “È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,23-24). È il messaggio pasquale di Gesù risorto, ma anche l’esperienza battesimale che viviamo con lui: siamo immersi nella sua morte, ma risorgiamo con lui alla gioia della vita nuova (Rom 6,4). Riflettiamo su tale esperienza di fede e di amore, per rimanere nella gioia di Gesù, espressione dell’amore che lo Spirito produce in noi. “Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per virtù dello Spirito Santo” (Rom 15,13). Noi viviamo in Gesù e la sua presenza è gioia, che ci fa superare le prove della vita e ci fa collaboratori nel donare a tutti la gioia del Risorto. “Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti” (Fil 4,4). La nostra gioia nasce dal rapporto intimo con Gesù: noi crediamo in lui, ci affidiamo a lui; non ci angustiamo per nulla, ma a lui ci affidiamo con piena fiducia (Fil 4,6); di più: tutto diviene occasione di crescita interiore: “ciò che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, ciò che è virtù e merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri” (Fil 4,8). La speranza ci fa essere realisti nella vita: la presenza di Gesù ci aiuta a superare i momenti più difficili e oscuri del nostro vivere quotidiano, ci dà pace e serenità anche nei momenti della prova e della sofferenza fisica, morale e spirituale.
Lettura esistenziale
“La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo. 22 Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e 23 nessuno vi potrà togliere la vostra gioia” (Gv 16, 21-23). L’immagine del parto è molto significativa. Non si tratta solo del contrasto paradossale tra la tremenda acutezza del dolore fisico delle doglie e la placida tenerezza di un bimbo che riposa sul grembo della mamma, ma molto di più della lotta fino all’ultimo colpo tra morte e vita. La simbolica del parto infatti rimanda al passaggio del nascituro da una vita calda, sicura e protetta nel grembo della madre ad un mondo radicalmente diverso, attraverso una rottura apparentemente mortifera. Quali energie immense di vita e amore devono portare la natura a far compiere un passaggio così prodigioso per un esserino tanto piccolo e inerme? È il passaggio attraverso la morte, che porta ad una vita nuova. Questa simbolica si adatta perfettamente al mistero pasquale di Cristo, al suo passaggio attraverso la morte che conduce al dono di una vita nuova, di cui i discepoli faranno misteriosamente esperienza. Ma questa è anche la dinamica reale di ogni vita umana, che si configura a sua volta come un parto. Noi tutti quanti ci troviamo come dentro un grembo materno, che ci sta partorendo con dolore ad una vita più bella e più piena. Tutte le sofferenze, dolori, fatiche, limiti, difficoltà che incontriamo a livello personale e sociale non sono altro che le doglie del parto della creazione che geme e soffre finché non sia avvenuta la nascita definitiva dei figli di Dio.