Commento di Fra Giuseppe Di Fatta
IV Domenica del Tempo Ordinario
I Lettura Ger 1,4-5.17-19
Salmo (Sal 70)
II Lettura 1Cor 12,31-13,13
Vangelo Lc 4,21-30
Un caro saluto di gioia e pace a tutti voi!
Ascoltiamo il Vangelo secondo Luca in questa quarta domenica del tempo ordinario.
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Il Vangelo di questa domenica comincia con la stessa frase con cui si è concluso quello di domenica scorsa. Infatti ciò che ascolteremo è la continuazione della visita di Gesù alla sinagoga di Nazareth.
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria». Se all’inizio i nazaretani restano meravigliati per le parole pronunziate da Gesù, in un secondo momento cominciano a mormorare, credendo di conoscerlo bene: sanno a quale famiglia appartiene e non accettano che si presenti come il Messia.
NESSUN PROFETA È BENE ACCETTO NELLA SUA PATRIA. Un’amara constatazione che si realizza pienamente in Gesù: proprio a Nazareth non viene riconosciuto da amici, parenti e conoscenti come l’inviato di Dio.
In verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». A conferma di quanto detto, Gesù cita due episodi dell’Antico Testamento nei quali i profeti Elia ed Eliseo, non trovando accoglienza nel popolo di Israele, beneficano con miracoli gente pagana.
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino. La lezione è compresa perfettamente dai paesani di Gesù, che si sentono feriti nel loro amor proprio, reagiscono sdegnati e cacciandolo fuori dalla città, sono addirittura in procinto di farlo fuori, gettandolo in un precipizio. Ma la sua ora non è ancora giunta: Gesù passa indisturbato in mezzo a loro e si rimette in cammino.
NESSUN PROFETA È BENE ACCETTO NELLA SUA PATRIA. La vocazione del profeta consiste fondamentalmente nell’essere portatore della Parola del Signore. Nell’Antico Testamento venivano chiamati da Dio per annunziare la Parola al popolo ebraico, nelle varie situazioni della sua storia. Nel Nuovo Testamento si parla di uomini e donne che esercitano il ministero profetico, annunciando il Vangelo alle comunità cristiane e ai pagani. Anche oggi, in forza del battesimo, noi tutti partecipiamo a questo ministero profetico, facendoci ascoltatori e testimoni del Vangelo, annunziandolo con mitezza e fortezza nelle varie situazioni della vita. Pensate cosa significhi testimoniare la parola del Signore in famiglia, oppure nell’ambiente di lavoro, tra amici… E non è forse vero che a volte il Vangelo va ricordato anche ai fratelli della comunità cristiana, della fraternità, della parrocchia? Non dando assolutamente per scontato che tutti lo conoscono e che soprattutto lo mettono in pratica… Se facessimo così, forse si romperebbe qualche equilibrio di quieto vivere e capiremmo di più cosa significhi: NESSUN PROFETA È BENE ACCETTO NELLA SUA PATRIA.
La più importante profezia che oggi possiamo esercitare nella nostra patria, cioè nell’ambiente in cui viviamo, è la coerenza della vita, cioè la perfetta sintonia tra ciò che pensiamo, ciò che diciamo e ciò che facciamo.
Una buona e santa domenica a tutti.