Visitare i carcerati: una “opera di misericordia” suggestiva ma difficile da praticare. La realtà penitenziaria è per sua natura “lontano” e “separato”, e genera spesso timori. Timori e distanze che non hanno impedito nel tempo anche nel mondo francescano il crescere di esperienze di solidarietà e di volontariato rivolte proprio al mondo del carcere. La più “antica” e strutturata – anche se non l’unica in Italia – è quella del Centro Francescano di Ascolto di Rovigo, che anima un servizio di assistenza volontaria presso la Casa Circondariale della città veneta, con una presenza costante nelle varie sezioni. I volontari svolgono colloqui, coordinamento di gruppi, attività culturali e ricreative (servizio di prestito libri, proiezioni cinematografiche, etc.), e portano avanti dal 1999 un progetto di formazione al lavoro esterno con dei detenuti ammessi. Dall’incontro con i detenuti all’interno scaturiscono poi i contatti con le famiglie degli stessi all’esterno. Ma l’impegno dei volontari dell’Associazione è molto intenso anche in organismi nazionali quali il Seac – Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario e la Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, con la partecipazione in commissioni dei Ministeri della Giustizia, Sanità e Affari Sociali.
L’esperienza maturata rivela infatti che il servizio in carcere non può esaurirsi nel significato letterale di semplice gesto di solidarietà, anche per le problematiche tipiche del carcere, che spesso emergono da ricerche e statistiche.
Proprio di questi giorni ad esempio è uno studio dell’associazione Antigone, una delle più attive su questo fronte, che affronta il drammatico tema dei suicidio in carcere, e che rivela dati drammatici. Tredici suicidi ogni 10mila persone detenute: è questo il “tasso di suicidi” in carcere nel 2022. L’ultimo, il 74esimo drammatico caso è quello del detenuto disabile trovato impiccato nei giorni scorsi, nel carcere di Termini Imerese.
«Dall’inizio dell’anno 74 persone si sono tolte la vita all’interno di un istituto di pena – riferisce Antigone –. Mai così tante da quando si registra questo dato. Il precedente triste primato era del 2009, quando al 31 dicembre si erano suicidate 72 persone. Oggi, a fine anno, mancano ancora due mesi».
La situazione, oggi, è però anche più preoccupante del 2009, se si guarda al cosiddetto tasso di suicidi, dato dal rapporto tra il numero di suicidi e la media di persone detenute nel corso dell’anno.
«Non essendo ancora terminato il 2022, possiamo oggi calcolare il tasso di suicidi solo tra il mese di gennaio e settembre, ossia a quando risale l’ultimo aggiornamento sulla popolazione detenuta – osserva Antigone – con un numero di presenze medie pari a 54.920 detenuti e 65 decessi avvenuti in questi nove mesi, il tasso di suicidi è oggi pari circa a 13 casi ogni 10mila persone detenute: si tratta del valore più alto mai registrato. Quando nel 2009 si suicidarono 72 persone, i detenuti erano circa 7mila in più». Un dato è particolarmente eloquente: «In carcere ci si uccide oltre 21 volte in più che nel mondo libero».
Altro dato drammatico riguarda i suicidi nella popolazione detenuta femminile: finora 5, dall’inizio dell’anno, mentre «nel 2021 e nel 2020 “solo” due si erano tolte la vita. Nessuna nel 2019 – fa notare ancora Antigone – quasi il 50% dei casi di suicidi sono poi stati commessi da persone di origine straniera. Se circa un terzo della popolazione detenuta è straniera, vediamo quindi come l’incidenza di suicidi è significativamente maggiore tra questi detenuti».
Altro dato interessante: «Dalle poche informazioni a disposizione, sembrerebbe che circa un terzo dei casi di suicidi riguardava persone con un patologia psichiatrica, accertata o presunta, e/o una dipendenza da sostanze, alcol o farmaci».
Per quanto non sia possibile comprendere e indicare la ragione di un suicidio, va ricordato innanzitutto che «la maggior parte delle persone che entrano in un istituto di pena hanno alle spalle situazioni già di ampia complessità: marginalità sociale ed economica, disagi psichici e dipendenze caratterizzano gran parte della popolazione detenuta. In questi ultimi anni, Antigone nelle sue visite ha raccolto un numero sempre crescente di segnalazioni relative all’aumento di persone detenute con patologie psichiatriche e alla difficoltà di intercettare e gestire tali situazioni, spesso per mancanza di risorse adeguate e per l’inadeguatezza del carcere come luogo per la loro collocazione». La pandemia ha poi aggravato certamente la situazione, «contribuendo in molti casi ad ampliare e acuire situazioni di solitudine e sofferenza. Per chi era già in carcere e ha subito la chiusura di attività e dei contatti dell’esterno per un lungo periodo, ma anche per chi era fuori e arriva alla detenzione con un affaticamento mentale maggiore di quanto non avvenisse presumibilmente in passato».
(Fonte: fvsonline.it – Ettore Colli Vignarelli)