Commento di Fra Marcello Buscemi e Tiziana Frigione.
Venerdì della XII settimana del Tempo Ordinario
Letture: Gen 17,1.9-10.15-22; Sal 127; Mt 8,1-4
Riflessione biblica
Si avvicinò un lebbroso, si prostrò davanti a lui e disse: Signore, se vuoi, puoi purificarmi”. Strano! Un malato grave di lebbra, chiede normalmente di essere “guarito”; questo invece chiede di essere “purificato”. Eppure, se leggiamo attentamente il testo, ci accorgiamo che ha ragione il lebbroso: egli non è solo malato fisicamente, ma è malato interiormente di solitudine, perché egli è bandito dalla società; ancora di più: egli è escluso dall’ambiente religioso, cioè dalla comunione con Dio e con i fratelli. Per comprender tutto ciò, basta leggere Lev 13, in particolare Lev 13,45-46: “Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!”. Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento”. Il lebbroso era radiato dalla comunità civile e scomunicato dalla comunione con il suo Dio, isolato da ogni convivenza umana, civile e religiosa. Quest’uomo “si avvicinò”: confida nella comprensione e benevolenza di Gesù, il Messia, che “si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità” (Is 53,4-5). “Si prostrò davanti a lui”: lo riconosce come il Signore che ha potere sui nostri mali, sia quelli materiali che morali: “Che cosa è più facile: dire “Ti sono perdonati i tuoi peccati”, oppure dire “Àlzati e cammina”? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati, dico a te — disse al paralitico —: àlzati, prendi il tuo lettuccio e torna a casa tua” (Lc 5,23-24). “Signore, se vuoi, puoi purificarmi”: furbo, questo lebbroso; non chiede la guarigione della sua malattia fisica, perché sa che, chiedendo la sua purificazione, otterrà anche la guarigione del corpo. La fede ha conquistato il suo cuore e la sua mente: egli chiede l’essenziale: essere riabilitato alla comunione con Dio, ed ottiene anche la guarigione dalla sua malattia: “Cercate anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e il resto vi sarà dato in aggiunta” (Mt 6,33).
“Lo voglio: sii purificato!”: è bastata un po’ di fede, che si affida totalmente a Gesù, e il miracolo si è compiuto, la misericordia ha riabilitato questo lebbroso come uomo, come credente, come figlio di Dio.
Lettura esistenziale
Noi sul monte, con Gesù, abbiamo compreso che la vita è l’amore del Padre, che si realizza nell’amore dei fratelli, è la vita nuova. Adesso scendiamo giù, nel mondo, per attuare con lui il Vangelo, la liberazione, quel che ha detto, compiere i miracoli che sono la realizzazione della Parola. I miracoli sono segni, ciò che in noi opera la Parola, una realtà nuova che irrompe nella nostra vita, che ci fa donne e uomini nuovi, innamorati della vita e liberi dall’angoscia della morte, pieni del desiderio del bene che viene da Dio. Nel segno, nel miracolo, scopriamo di poter vedere con occhi nuovi e toccare i fratelli senza paura. Ascoltando la Sua Parola abbiamo il potere di fare miracoli, quelli di vivere una vita in pienezza. Sappiamo che l’amore si compie nelle relazioni, e la relazione è gioia, speranza, forza, bene, compagnia, presenza di Dio, ma qui, in questa nostra umanità, confusa da millenni di menzogne e pregiudizi, che ci induriscono il cuore, rischiamo di dimenticarlo, di perdere quella gioia che solo l’amore può dare.
Altre ragioni possono prendere il sopravvento e farci vivere divisioni, separazioni, emarginazione. Quando è così, la rappresentazione dell’altro rimanda al pericolo, al contagio, alla minaccia, alla lebbra appunto, mentre in realtà la lebbra è dentro noi, che viviamo la paura dell’altro, piuttosto che la gioia dell’altro, la minaccia della perdita, piuttosto che la grazia del dono.
Il male, questa morte, trovarci davanti al limite, ci pone veramente davanti a lui e riconoscendogli il potere della vita, ci liberiamo dai condizionamenti del mondo che credono nel potere del male e sperimentiamo la nostra fede. Come il lebbroso possiamo ribellarci a tutto ciò che è ovvio e scontato, alla rassegnazione e volere profondamente, liberare, quel desiderio più profondo che abbiamo di vita e di libertà, chiedere a Gesù. E lui può e vuole, e noi in sintonia con Lui possiamo potere e volere, con la fede nel cuore possiamo prendere la mano di Dio e lasciarci toccare per entrare in comunione con lui. Riconoscerci lebbrosi , ci fa vivere tutto come possibilità e dono gratuito, sentire ardere il bisogno di uscire dall’isolamento ed essere amati, amare, nella totale libertà . Pensarsi sani, concentra tutto sul difendere la propria condizione, l’altro è una minaccia e la vita è un costante evitamento nella paura.
Il desiderio d’amore è consolato da Dio, lui si serve delle nostre mani per accarezzare i sofferenti e far sentire la sua presenza. Allora la malattia del lebbroso è la nostra incapacità di saper amare i fratelli come fa Gesù, incapacità di guardare come guarda Gesù, incapacità di superare i pregiudizi del mondo ed i nostri rifiuti istintivi. Portiamo al cuore la Parola che abbiamo ascoltato sul monte, che ci fa amare il Padre, i fratelli ed amarci dello stesso amore di Dio,che guarisce la nostra vita dalla morte, da quella rassegnazione che ci deprime. La parola ci tocca interiormente, è il tocco interiore di Dio che ci monda dalla lebbra, dalla paura della vera morte, quella spirituale, l’altra arriva comunque.