Fa ancora male l’ennesimo naufragio nel Mediterraneo di sabato scorso. L’ennesima strage che poteva essere evitata. Le Ong che navigano in lungo e in largo tra il Nord Africa e l’Europa lo sanno bene. Fintanto che nulla cambierà si continuerà a morire. E resta la rabbia che questi ultimi 61 “dispersi” (il termine tecnico che indica i morti ma che rimarranno tali fintanto che non saranno ritrovati i corpi senza vita in mare) si sarebbero potuti salvare.
Più di 2mila morti dall’inizio dell’anno: per l’esattezza 2.571 uomini, donne e bambini che hanno perso la vita soprattutto lungo la rotta del Mediterraneo, soprattutto fra Libia, Tunisia e Italia e Malta. «I decessi nel Mediterraneo sono aumentati» scrive in una nota Medici senza frontiere. L’aumento in percentuale, secondo i dati dell’Oim , sarebbe addirittura del 60%. «Sono oltre 2.271 le persone che hanno perso la vita nel Mediterraneo Centrale quest’anno – spiega Flavio di Giacomo, portavoce dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) – l’anno scorso in tutto l’anno furono 1.417, un numero drammatico che purtroppo dimostra che non si fa abbastanza per salvare vite in mare».
«È inaccettabile che l’Ue scelga di proteggere i suoi confini piuttosto che la vita delle persone» accusa Medici senza frontiere. «Quest’anno nel Mediterraneo centrale sono morte 8 persone al giorno – denuncia la Ong che ha anche in mare una nave per salvare i migranti in difficoltà – questo numero continua a crescere anno dopo anno. Le persone che soccorriamo nel Mediterraneo portano i segni delle violenze addosso: arti spezzate, cicatrici, gravidanze indesiderate. E l’Europa cosa fa? L’Europa respinge. Gli Stati dell’Unione europea stanno facendo di tutto per evitare che le persone arrivino in Europa. Erigono barriere, fanno accordi con Paesi terzi , respingono e riportano indietro chi cerca di scappare da posti non sicuri. O più semplicemente si rifiutano di aiutare chi è in pericolo. Come Malta che ignora le richieste di aiuto in mare. O come l’Italia che con le sue leggi ostacola il lavoro di ricerca e soccorso in mare delle organizzazioni non governative e ci assegna porti sempre più lontani. Quante altre persone devono morire prima che le cose cambino davvero?».
«Questi naufragi non sono dovuti soltanto al maltempo, ma chiamano in causa la responsabilità di chi chiude tutte le vie di ingresso legale, stipula accordi con autorità che non garantiscono una vera attività di ricerca e salvataggio, e tantomeno porti sicuri, ed allontana le navi del soccorso civile imponendo porti di sbarco sempre più lontani» sottolinea il giurista e docente di diritto d’asilo a Palermo, Fulvio Vassallo Paleologo, spiegando dove andrebbero cercate le responsabilità dell’ultimo naufragio.
La tragedia di Cutro non è servita. Il 2023 si appresta ad essere l’annus horribilis dei naufragi: dopo la morte di decine di persone di fronte alle coste calabresi del febbraio scorso (e con un numero ancora indecifrato di dispersi) che sembrava aver risvegliato le coscienze, diverse altre tragedie del mare si sono consumate sotto gli allarmi inascoltati delle Ong.
Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati e il ministero dell’interno italiano, nel 2023 sono arrivati in Italia oltre 153mila rifugiati e migranti provenienti soprattutto da Tunisia e Libia. Secondo i dati di Missing migrants dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), dall’inizio del 2023 sono morte 2.571 persone in mare. Ma secondo l’organizzazione EuroMed Rights questo numero è sottostimato.
Dopo Cutro, nel mese di giugno quasi seicento persone sono annegate al largo di Pylos (Grecia) nel mar Mediterraneo. «Tra gennaio e luglio, le autorità tunisine hanno recuperato un totale di 901 corpi al largo delle coste» sottolinea EuroMed rights. «Esortiamo la comunità internazionale a raddoppiare gli sforzi per porre fine a questa tragedia umanitaria» scrive Sara Prestianni di EuroMed Rights.
Intanto il Comitato 3 ottobre, (nato dopo il maxi naufragio del 2013 davanti Lampedusa) chiede una banca dati europea sui migranti morti. «Negli ultimi 10 anni, almeno 60.000 persone sono morte lungo le tante rotte che portano in Europa e oltre 27.000 hanno perso la vita nel Mar Mediterraneo e altre migliaia sono scomparse – scrive Tareke Brhane, presidente del Comitato – Dietro ad ogni numero c’è un essere umano: una sorella, un fratello, una figlia, un figlio, una madre o un padre. La speranza è che non restino senza identità».
Ma la Commissione Europea che «si duole per ogni vita persa nel Mediterraneo» non esprime nessuno commento specifico riguardo all’ultimo naufragio al largo delle coste libiche. Lo precisa un portavoce dell’esecutivo Ue. «I leader hanno discusso il tema della migrazione nel corso del consiglio europeo: lavoriamo su tutte le diverse iniziative per arrivare a un sistema che possa gestire al meglio la migrazione in Europa», precisa.
E in Italia, sull’ultima tragedia del mare, si accende la polemica: «L’avete chiamato Cutro, quel decreto, ma da quella strage non avete voluto imparare niente» punta il dito la segretaria del Pd Elly Schlein.
(fonte Avvenire)