Non si nasconde il vescovo di Trapani, Mons. Pietro Maria Fragnelli. Pugliese, da dieci anni in Sicilia, parla di coscienza civile ancora «narcotizzata» e di zone grigie da superare. Ma ritiene l’arresto del boss Messina Denaro «una svolta». Guarda con speranza all’esempio dei giovani, «da sostenere e accompagnare». Ed è pronto, insieme con i confratelli vescovi siciliani e la Chiesa dell’isola, a fare la propria parte, perché l’esempio educativo di figure come Puglisi, Livatino e Biagio Conte diventi sempre più patrimonio di “anticorpi” a protezione della legalità.
Monsignor Fragnelli, la domanda più ricorrente in questi giorni, dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro, è: quanto pesa ancora l’omertà in certe zone della Sicilia?
La fine della superlatitanza di Matteo Messina Denaro mette il dito sulla piaga di una coscienza civile narcotizzata, per dirla con Papa Francesco. Più che omertà, almeno per la maggioranza, parlerei di rassegnazione che impedisce un pensiero altro e scoraggia sogni di riscatto. Al mio arrivo in Sicilia ero consapevole della presenza di una “zona grigia” diffusa. Ma confesso che l’impatto è stato incoraggiante, mi ha fatto conoscere i volti e le volontà più motivate. Mi sono opposto al qualunquismo mediatico secondo cui dire Sicilia significa dire mafia. Quello che fa la differenza è camminare insieme, con le Istituzioni e le altre forze sociali, per un nuovo umanesimo della speranza e del coraggio, lontani dalle manie di protagonismi e antagonismi che frenano un vero cambiamento.
Ma rispetto al momento del suo arrivo a Trapani ha notato dei cambiamenti?
L’arresto di colui che vorrei chiamare “innominato” segna una svolta. Anche se attendiamo ancora la verità su tanti punti oscuri, è grande la soddisfazione di quanti hanno pagato prezzi alti nella lotta alla mafia. Il crescente raccordo tra Istituzioni e volontario sta portando alla luce un nuovo modo contrastare la mafiosità. La memoria di tante vittime di mafia oggi è un patrimonio comune. Cito i gemellini Asta con la loro mamma, l’agente Montalto, i giudici Ciaccio Montalto e Giacomelli a noi più vicini. Dobbiamo ringraziare la scuola e una rinnovata pedagogia sociale e spirituale.
I giovani di Castelvetrano, scout e studenti, hanno promosso dei sit-in dopo la cattura. Rondini isolate o c’è la speranza che i giovani seguano altre strade rispetto a quelle delle generazioni che li hanno preceduti?
In generale si può dire che crescono punti luce importanti, che vedono protagonisti i giovani che rimangono sul territorio. Il gesto degli scout, fatto a caldo, è stato un segnale di speranza maturato in un percorso lungo di educazione alla legalità. È necessario continuare ad accompagnarli verso ideali alti e motivazioni forti. Soprattutto servono politiche nuove che creino una nuova passione per la nostra terra. Noi abbiamo scommesso sul futuro sostenendo imprese giovani, start up, progetti innovativi con la Fondazione di Comunità Agrigento-Trapani.
E nella società civile di Trapani, lei che, come Vescovo, vive a contatto con la comunità, quali commenti ha sentito?
A parte coloro che sono rimasti piuttosto scettici, pensando che questo non basta, si registra una spinta a incoraggiare la piena liberazione dell’isola perché sia accogliente con il suo volto migliore. È importante che tutti siamo protagonisti della rinascita. Serve uno Stato che dia segnali non contraddittori, anche se personalmente ho sempre registrato un clima diffuso di grande stima per le forze dell’ordine. Anche il sentimento religioso tradizionale deve essere capace di rinnovamento, per esempio dando sostegno alle imprese confiscate alla mafia. Con una Fondazione che presiedo abbiamo scelto di affidare dei lavori ad una ditta in amministrazione controllata. È solo un segno che mi sento d’incoraggiare.
Il beato padre Puglisi ha sempre rifiutato l’etichetta di prete antimafia. Ma per fermarne l’opera di educazione ai valori evangelici hanno dovuto ucciderlo. La sua lezione quanto è presente oggi nella pastorale di diocesi come quella trapanese a forte presenza – almeno così si dice – di mafiosi?
Molto, ma non abbastanza. Anche se devo dire che in questi ultimi anni c’è stata un’accelerazione e un approfondimento in tutta l’isola. Quest’anno celebriamo 30 anni dalla sua morte ed è più vivo che mai. In cielo abbiamo due operatori di pace e giustizia in nome della fede: don Puglisi e Rosario Livatino. Credo che entrambi abbiano ancora molto da insegnare, non solo alla Chiesa, con quella testimonianza propria del Vangelo che crea relazioni più forti di ogni legame d’ingiustizia e di cupidigia del denaro.
Quali anticorpi può immettere la Chiesa nel corpo sociale per renderlo immune a una così pericolosa “malattia”?
Con i vescovi siciliani, direi la ricerca di un nuovo linguaggio evangelico e popolare capace di far crescere generazioni nuove di credenti. E lavorare con un senso forte del camminare insieme: non ci si salva da soli. L’omertà rivela la piccolezza maleodorante dell’autoreferenzialità. La Chiesa genera quotidianamente spazi di bene nel corpo sociale. È un umanesimo dal basso, che si apre al futuro nella sapienza vissuta tra e con i poveri. Penso a Biagio Conte, molto conosciuto e amato anche nel trapanese. Quando è arrivata la notizia della cattura di Messina Denaro qualcuno ha detto che si trattava del primo miracolo di fratel Biagio, che in quel momento una folla di oltre 10 mila persone, di ogni razza e credo, salutava come si fa con un padre o un fratello. La sua rivoluzione del bene è una forte testimonianza di conversione dalla mafiosità.