di Max Firreri – Eccellenza monsignor Angelo Giurdanella, oltre i documenti che nei decenni sono stati pubblicati dalle Chiese di Sicilia, quale deve essere in concreto l’impegno della Chiesa locale per alimentare percorsi di legalità?
«L’arresto del superlatitante Matteo Messina Denaro, dopo 30 anni di latitanza, ci invita tutti a non abbassare la guardia nella lotta alla mafia. La criminalità mafiosa si sconfigge se l’impegno diventa corale. Oltre ai documenti che indicano la strada serve un impegno concreto a raccogliere le sfide educative che questo tempo richiede, per percorrere sentieri di pace e di legalità».
Educare i giovani è una strada da Lei indicata. Ma oggi coinvolgerli nelle parrocchie è diventato davvero difficile. Secondo lei, quali soluzioni si possono mettere in campo per riportarli negli oratori, farli avvicinare alla Chiesa?
«I giovani hanno bisogno di essere ascoltati e non giudicati, coinvolti e non assistiti. Bisogna prenderli sul serio e non “snobbarli”, proponendo loro mete alte, accompagnati con sapienza e pazienza. Questo perché “le strade pianeggianti non conducono in alto”. Educare non è un compito facile ma certamente è urgente per uscire dal disorientamento e dal disamore. A partire anche dalla formazione degli operatori. E noi, come Chiesa locale, continuiamo a farlo con incontri e corsi tra Mazara e Marsala».
L’indagine sull’arresto del superlatitante mette in luce una rete di coperture del boss a diversi livelli. Magari anche da professionisti che vanno a messa la domenica. Cosa si sente di dire a queste persone?
«Quando si dice mafia non bisogna individuarla solamente nel boss. Ma anche nelle coperture di cui gode, come successo anche per Matteo Messina Denaro. Dunque è spesso uno stile di vita che esprime una mentalità nei comportamenti del fare quotidiano. Mi sento di dire che noi dobbiamo combattere l’omertà, la sfiducia attraverso le testimonianze vere. Servono agli adulti ma, soprattutto, ai giovani ai quali va detta sempre la verità, indicando percorsi possibili, convincenti e affascinanti. A loro bisogna testimoniare stili di vita coerenti».
Le parole hanno un peso. Nel linguaggio mafioso ci sono i padrini ma la Chiesa ha un Padre….
«Le parole è vero che hanno un loro fascino ma solo l’esempio trascina e coinvolge. È vero, la mafia ha i “padrini” ma noi dobbiamo sostituirli col Padre che ci fa crescere nella dignità di figli e nella responsabilità di fratelli».
Quale messaggio si sente di mandare alle comunità di Castelvetrano e Campobello di Mazara?
«A queste due comunità ecclesiali esprimo vicinanza. E gratitudine a chi è in prima linea impegnato ad arginare una mentalità mafiosa e spargere semi di Vangelo attraverso una missione educativa, come i presbiteri, gli insegnanti, gli operatori pastorali, le famiglie, la scuola».
(Fonte: diocesimazara.eu)