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La tenerezza di Dio

Commento di Fra Marcello Buscemi e Suor Cristiana Scandura

Lunedì della XIV settimana del Tempo Ordinario

Letture: Os 2,16-18.21-22; Sal 144; Mt 9,18-26

Riflessione biblica

“Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata” (Mt 9,18-26). Due miracoli, una la fede che si affida: credere in Gesù, entrare in relazione con lui che opera nella nostra vita. È fede quella di Giaro, il caposinagoga che dinanzi alla morte della sua figliola si rivolge a colui che è la vita: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini” (Gv 1,4). È fede, quella della donna che soffre nel corpo, ma ancor più nella sua solitudine esistenziale e religiosa, stabilita dalla Legge mosaica (Lev 15,19-21). Si intersecano i due miracoli: Gesù opera nella nostra vita di ogni giorno, dove gioia e dolore si mescolano e movimentano la nostra esistenza, si avvicendano incontri e situazioni che rendono la vita affascinante o faticosa. È il caso del problema delicato della donna dalle continue perdite di sangue, che si intreccia con il dolore ancora più drammatico di un padre che ha perso la propria figlia; in entrambi i casi, l’uomo non poteva porre rimedio, ma Gesù con la sua parola li porta a soluzione. Il miracolo non è un atto magico, ma incontro tra Gesù e chi ha bisogno di lui, e l’incontro avviene nella fede: “la tua fede ti ha salvata”. Quella donna incontrò Gesù nel segreto del suo cuore: “Diceva tra sé: Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata”. La fede è presupposto essenziale per avere la salvezza: “Con il cuore si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza” (Rom 10,10). Giairo credette nella potenza salvifica di Gesù e perseverò nella sua fede e la vita riesplose: si deve crescere “di fede in fede, come sta scritto: il giusto vivrà per fede” (Rom 1,17). La salvezza non è dono statico, ma azione divina che agisce in noi credenti, ci spinge ad agire e a comportarci da figli di Dio, a vivere nella speranza dell’incontro con il Signore che dà guarigione e vita.

Lettura esistenziale

“Ed ecco una donna, malata di un flusso di sangue da dodici anni, avvicinatasi da dietro, gli toccò il lembo della veste” (Mt 9, 20). In questa donna senza nome possiamo ritrovarci tutti. Come lei, che aveva speso tutti i suoi averi cercando una cura per la sua patologia, anche noi spesso cerchiamo rimedi sbagliati per saziare la nostra mancanza d’amore. Pensiamo che a renderci felici siano il successo e i soldi, ma l’amore non si compra, è gratuito. Ci rifugiamo nel virtuale, ma l’amore è concreto. Non ci accettiamo così come siamo e ci nascondiamo dietro i trucchi dell’esteriorità, ma l’amore non è apparenza. La malattia più grande della vita è la mancanza di amore, è non riuscire ad amare. E la guarigione che più conta è la guarigione degli affetti.  Guarire è aprire il cuore a Gesù. Il vero amore si trova in Gesù, nel “contatto diretto” con Gesù, proprio come fa la donna che si butta tra la folla per toccargli il mantello. Il Signore attende che Lo incontriamo, che Gli apriamo il cuore, che, come la donna, tocchiamo il Suo mantello per guarire. Perché, entrando in intimità con Gesù, veniamo guariti nei nostri affetti. Egli non si arresta di fronte alle ferite e agli errori del passato, ma va oltre i nostri errori e i nostri peccati, arrivando al nostro cuore. Proprio come fa con l’emorroissa, questa donna scartata da tutti a motivo della malattia che la rendeva impura e dalla quale Gesù si fa toccare, chiamandola con tenerezza: “figlia”. Ancora oggi Egli risana, guarisce e perdona attraverso i sacramenti, che siamo chiamati a vivere con fede.

 

 

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