«La campagna contro le Ong è un attacco a una forma avanzata di organizzazione democratica. Da parte della politica populista che mal sopporta i corpi intermedi e le organizzazioni che difendono di diritti di tutti». Raffaele Salinari, medico con esperienza pluridecennale nei paesi in via di sviluppo, da una vita nelle organizzazioni non governative, è il portavoce del Cini, il Coordinamento italiano delle Ong internazionali. E vede con preoccupazione l’attacco sistematico portato ultimamente contro questo mondo.
Prima il soccorso in mare accusato di complicità con la tratta. Poi le generalizzazioni sul caso Qatargate per le organizzazioni costruite per fare affari. Le Ong sono sotto attacco?
È un orizzonte più vasto, è la crisi stessa della democrazia, intesa come partecipazione dei cittadini alla vita civile. Le ong sono nate nel secondo dopoguerra, non a caso nelle democrazie occidentali, mentre sono ostacolate in ogni modo sotto le autocrazie proprio per la loro componente strutturale di democrazia.
Come in Afghanistan, dove Save the children è in difficoltà per il divieto alle donne di collaborare con le ong.
È l’ultimo in ordine di tempo, e fa parte delle repressioni del movimento di autodeterminazione delle donne che si sta verificando in Iran. L’attacco è anche a ciò che queste organizzazioni rappresentano, una forma auto organizzata di partecipazione dei cittadini al vivere civile.
Ma in Italia? Perché questo clima politico ostile?
L’attacco alle Ong in occidente ci consegna una fragilità crescente delle strutture democratiche. Le Ong sono la punta avanzata del protagonismo diretto dei cittadini. Un attacco costruito su falsi sillogismi: c’è una Ong creata per riciclare denaro, quindi tutte le ong riciclano denaro.
Chi lo fa cerca il rapporto diretto e non intermediato con l’opinione pubblica?
Cerca il rapporto populista con i cittadini, privati delle loro forme di auto-organizzazione, quindi più dirigibili, bersagli facili della propaganda. È preoccupante perché in Italia, come in quasi tutta Europa, le Ong e in generale il Terzo settore gestiscono segmenti importanti di welfare comunitario. Senza le Ong durante la pandemia, il sistema sanitario e assistenziale sarebbe collassato. Disconoscere il ruolo centrale di queste organizzazioni nell’organizzazione dei diritti fondamentali dello Stato punta a spezzare l’anello più esposto della catena, per rompere a cascata l’unitarietà dei diritti umani. È la politica che non vuole controllo né critiche. Un esempio? Nella legge di bilancio abbiamo ribadito il rispetto degli accordi internazionali sullo 0,7 % del pil in cooperazione allo sviluppo. Chi altro lo fa? Spesso dobbiamo fare i cani da guardia degli impegni internazionali, ma poi non restiamo a guardare. Vada in un campo profughi, chieda alle bambine afgane, a chi è stato salvato in mare, ai ragazzini di Scampia o dello Zen. Le risponderanno citando una Ong, una delle tante che non fanno “la carità”, ma fanno giustizia e pretendono il rispetto dei diritti.
Cittadini attivi per un forte senso etico?
Per un senso molto spiccato di alterità. Consapevoli che nessuno esce da solo dai problemi comuni. O tutti hanno gli stessi diritti e la stessa dignità, oppure si comincia ad escludere qualcuno per arrivare prima o poi ad escludere tutti.
Come la poesia del pastore luterano Niemöller: prima vennero a prendere gli zingari, e fui contento, poi gli ebrei e stetti zitti, un giorno vennero a prendere me, e non c’era nessuno a protestare.
Si comincia con i più deboli, si arriva prima o poi a tutti. Il Covid ad esempio ha evidenziato i danni causati da anni di smantellamento della sanità pubblica, data in pasto ai privati. Non siamo altruisti perché concediamo tempo e energie a qualcuno, siamo persone consapevoli che non si esce da problemi se non si agisce in modo organizzato. Pensiamo in un’ottica di solidarietà di specie e di biosfera. Quello che dice papa Francesco nella Laudato si’ e Fratelli tutti.
(Fonte Avvenire)