di Francesco Polizzotti
Solo la Conferenza Episcopale Francese non sapeva che la rappresentazione drag, all’interno dell’apertura delle Olimpiadi parigine, che ha scatenato polemiche nelle ultime ore, si rifacesse al Cenacolo di Dioniso. Con tutta evidenza nessuno, a parte i cultori della materia, sapevano la vera opera presa ad ispirazione dal creatore dell’evento. Tuttavia, per molte ore l’opera a cui si attribuiva la somiglianza era addirittura un’altra ancora: il Banchetto degli Dei di Jean Harmensz van Bjilert (ca 1635). Critici di ogni parte, si sono sfidati a duello rivendicando le proprie ragioni. Da una parte il vittimismo di chi vede in ogni espressione artistica l’attacco alla tradizione cristiana e dall’altro la furia saccente di chi è pronto a rivendicare i valori della laicità ma solo se questa ha come obiettivo il sentimento comune di milioni di persone.
Andiamo per ordine. Negli istanti successivi all’apertura delle Olimpiadi, già nelle prime rappresentazioni artistiche qualcuno ci vedeva altro. Sappiamo però che nel coacervo di un evento tutto si presta ad interpretazione. Il cavallo sulla Senna che oggettivamente poteva richiamare Giovanna D’Arco, la pulzella di Lorena, non viene minimamente citato nella diretta televisiva, diventa l’angelo della morte di cui si parla nell’Apocalisse. In questo caso, quando si tratta di scene dal sapore catastrofico il richiamo al religioso diventa doveroso, inequivocabile anche per le menti più “aperte”. Così come ogni immagine animale richiamava in alcuni chissà quale simbolismo occulto. Lo scivolone ad esempio di Lucio Malan (FdI) sul toro al Trocadero: «Che ci faceva il vitello d’oro, emblema dell’idolatria e della blasfema disobbedienza alla cerimonia di Paris 2024? In realtà era coerente con tutto il resto. Le Olimpiadi sono state solo un pretesto, tant’è vero che gli atleti erano messi al margine. Al centro c’era ben altro», ha scritto su Twitter. Non si è reso conto che quello che ha definito vitello d’oro non è nient’altro che il toro di bronzo della fontana dei Giardini del Trocadero, che si trova lì da parecchi anni. Si tratta di un’opera installata dall’Expo del 1937 in bronzo in cui sono raffigurati un toro e un cervo. Era stata realizzata dallo scultore Paul Jouve, autore di numerose altre statue che raffigurano animali. Quindi nessun «Emblema di blasfemia».
Andiamo al fatto: il cenacolo drag di Dionisio. Il creatore dell’evento, Thomas Jolly, ha spiegato di «non essersi ispirato all’Ultima Cena» per una delle scene che ha fatto più discutere. «L’idea – ha precisato Jolly – era piuttosto quella di organizzare una grande festa pagana legata agli dei dell’Olimpo e quindi dell’olimpismo. Penso che fosse abbastanza chiaro, c’è Dioniso che arriva su questo tavolo. Lui è lì perché è il Dio della festa, del vino». Cadono le teste dei cristiani intransigenti ma anche le teste dei saccenti laicisti.
Lo stesso Philippe Katerine, il cantante al centro della rappresentazione, dipinto di blu e con una corona di fiori e frutti in testa, sabato aveva cercato di smorzare i toni. «Se avessi davvero voluto provocare, mi sarei tolto quei pochi indumenti che mi restavano». E ancora: «Non mi permetterei mai una provocazione del genere, Gesù Cristo è il mio eroe da quando sono nato. Non è mia abitudine scioccare… Mi capita spesso, ma senza volerlo».
Alcune considerazioni:
- Alla fine non si trattava né dell’Ultima cena, né del Banchetto degli Dei! Tutti bocciati in storia dell’arte!
- “Negare che la rappresentazione messa in scena in apertura delle Olimpiadi avesse un intento irrispettoso è possibile. Ma negare che, almeno in un suo momento, abbia intenzionalmente ripreso la disposizione delle figure secondo il Cenacolo di Leonardo non è possibile. La intenzione rappresentativa, non oltraggiosa, non può essere negata, neppure dal suo ideatore” scrive sulla propria pagine Facebook don Andrea Grillo, professore ordinario presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo.
- Ogni espressione artistica ha l’obiettivo di provocare emozioni anche controverse. Romano Guardini la citerebbe come “riconoscimento dell’autonomia ontologica dell’opera d’arte”. Scrive il teologo tedesco di origini italiane, l’opera d’arte «ha sì un senso ma non uno scopo […] Non mira a nulla, ma significa; non vuole nulla, ma è» – ne disvela il coté teologico: «quel carattere religioso insito nella struttura dell’opera d’arte in quanto tale; nel suo rinvio al futuro, a quel “futuro” puro e semplice che non può più essere fondato a partire dal mondo. Ogni autentica opera d’arte è essenzialmente “escatologica” e proietta il mondo al di là, verso qualcosa che verrà». (ROMANO GUARDINI (1885-1968) è stato uno dei protagonisti della storia culturale europea del sec. XX. Presso la Morcelliana è in corso di stampa l’Opera Omnia.)
- Quando pensiamo che gli eventi assumono un carattere dissacrante e irrispettoso per i valori in cui ciascuno crede, ricordiamoci anche del tratto “eversivo” della personalità di Francesco d’Assisi, questo suo muoversi in direzione ostinata e contraria nei confronti dello spirito del tempo. Di Francesco si disse tutto. Anche i suoi seguaci presero le distanze dalla sua regola primitiva. Nel ciclo degli affreschi giotteschi sulla vita di Francesco tutto questo esce fuori! Pensiamo anche a Francesco ritratto col lebbroso, di cui mai si potè fare citazione tra i fedeli per molti secoli. Di quell’incontro che ha cambiato il corso della sua storia e della nostra storia. Di quell’abbraccio considerato provocatorio ma che custodiva in sè il desiderio di includere veramente chi era considerato un male. Sarebbe bello se il mondo LGBTQR+ conoscesse di più la fede cattolica, anche solo per potersi difendere da chi li considera quello che non sono.