• 22 Novembre 2024 17:15

Quotidiano di ispirazione cristiana e francescana

San Francesco, quando ha scritto dei predicatori nel capitolo XVII della Regola non bollata (46-49), li ha elencati come primi, desiderando mostrare l’importanza del loro ministero. E sebbene all’inizio ogni frate poteva intraprendere questo compito, nel corso del tempo furono stabilite delle condizioni e dal loro adempimento dipendeva la possibilità di predicare. Per svolgere questo ministero era necessaria l’approvazione da parte del superiore: “E nessun frate osi affatto predicare al popolo, se prima non sia stato esaminato ed approvato dal ministro generale di questa fraternità e non abbia ricevuto dal medesimo l’ufficio della predicazione” (Rb IX 2; FF 98). Per di più, deve essere fatto in armonia con la Chiesa: “Nessun frate predichi contro la forma e le prescrizioni della santa Chiesa” (Rnb XVII 1; FF 46). Per quanto riguarda invece il contenuto dell’insegnamento trasmesso, ci viene di nuovo in aiuto la Regola bollata: “Ammonisco anche ed esorto gli stessi frati che, nella loro predicazione, le loro parole siano ponderate e caste, a utilità e a edificazione del popolo, annunciando ai fedeli i vizi e le virtù, la pena e la gloria con brevità di discorso, poiché il Signore sulla terra parlò con parole brevi” (Rb IX 3-4; FF 99).

Francesco, come la maggior parte dei suoi compagni, non è stato ordinato sacerdote. Pertanto, l’insegnamento dei frati minori, specialmente quelli dei non chierici, non poteva trattare questioni strettamente dottrinali, ma era piuttosto “un’esortazione alla penitenza e alla lode di Dio”. Il solo fatto di chiedere la conversione non richiedeva la conoscenza della teologia o del latino. Raggiungere la gente era possibile, tra l’altro, usando la lingua del popolo, entrando in un dialogo di salvezza espresso in una lingua compresa dal popolo, sia sulle strade, sia in città, sia in chiesa. Grazie a questo, per esempio, i predicatori domenicani furono accettati molto presto, tanto da essere chiamati addirittura ordo predicatorum.

Ciò non significava, tuttavia, che non ci fosse spazio per qualche discorso teologico tra i frati. Questo è emerso quando dei frati studiosi sono entrati nell’Ordine. Vale la pena ricordare, ad esempio, Sant’Antonio di Padova o Cesario da Spira. Il loro arrivo ha posto ai frati un nuovo dilemma: fino a che punto devono inserire il loro sapere culturale nella loro predicazione? Infatti, la clericalizzazione portava agli studi, se non altro perché i frati potessero conoscere l’arte oratoria. Questo ha permesso non solo di richiamare alla penitenza, ma ha reso i frati ministri dei sacramenti che riconciliavano le persone con Dio ascoltando le Confessioni. Invece quelli che non erano sacerdoti, dovevano accontentarsi di esortare alla conversione, come si faceva all’origine.

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