Letture: 1Re 19,4-8; Sal 33; Ef 4,30-5,2; Gv 6,41-51
Un caro saluto di gioia e pace a tutti voi.!
Il Vangelo di questa 19° domenica continua il capitolo 6° di S. Giovanni sul pane di vita.
In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?» Le parole di Gesù orientano decisamente gli ascoltatori a prendere una posizione nei suoi confronti: a suo favore o in sua opposizione. I Giudei mormorano per la pretesa di Gesù di presentarsi come pane disceso dal cielo. E lo contestano proprio per quel disceso dal cielo. Dicevano: se noi sappiamo di dove sei, conosciamo la tua città e la tua famiglia, come fai a dire che vieni dal cielo? La stessa opposizione avverrà a Nazareth davanti alla sua predicazione e ai miracoli che compiva: Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? Sua madre non si chiama Maria? Ed era per loro motivo di scandalo. (Mt 13,54-57) È interessante notare che Gesù viene contestato negli elementi essenziali la sua identità e la sua missione, cioè nel suo essere Parola che salva e nel suo presentarsi come pane di vita eterna.
Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. Non mormorate tra voi, cioè non lasciatevi condizionare da ragionamenti puramente umani e apritevi al dono di Dio: solo il Padre conosce il Figlio e ce lo manda, così come il Figlio conosce il Padre e ce lo rivela e ce lo fa amare. Ed è nel frutto dello Spirito Santo che entriamo in questo mistero di grazia, attraverso il dono della fede, principio e promessa di risurrezione e di vita eterna.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». In questo ultimo passaggio, l’insegnamento di Gesù diventa stringente, esigente e direi scandaloso. Finché si è presentato come pane di vita, lo si può intendere in senso metaforico, cioè come il senso della vita, il nutrimento dell’esistenza. Ma, se parlando di sé come pane, adesso dice che è la sua carne per la vita del mondo, è evidente che non viene capito. Mi permetto di farvi notare che in questo discorso Gesù non parla mai né di sacramento, né di Eucaristia che, a ricordo di catechismo, è l’interpretazione che noi diamo a queste parole. Parla della sua carne da mangiare, e i poveri ascoltatori che non avevano le categorie cristiane per capire, non possono fare altro che pensare ai cannibali! E Gesù non si preoccupa minimamente di spiegare. Proprio così, caro fratello e cara sorella, la storia della nostra vita e il cammino di fede ci insegnano queste due cose: alcuni eventi della vita e certe parole della Sacra Scrittura sono molto chiare, ci vengono consegnate e spiegate per incoraggiarci ad andare avanti; altri fatti e parole del Vangelo ci rimangono oscuri e non riusciamo a capire. È come se il Signore ci dicesse: ti devi fidare di me, non tutto può passare attraverso il filtro della tua ragione e della tua comprensione. La mie parole sono più vere della tua esperienza e ti invito a camminare alla luce di questa parola, anche quando alcuni pezzi di strada non riescono a farsi illuminare da essa e rimangono al buio.
Dopo 2000 anni di Chiesa, di riflessione, di spiegazione, di interpretazione eucaristica di queste parole, pur comprendendo che non si tratta di mangiare la carne fisica di Gesù, ma che ci si riferisce al sacramento, le parole il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo, restano per noi un mistero ineffabile, una pienezza da accogliere, un dono da desiderare, un cibo di cui nutrirci, una Pasqua da mangiare, una bellezza da adorare.
Davanti a un regalo così grande, non possiamo restare indifferenti.
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