La forza del perdono

Commento di Fra Marcello Buscemi e Suor Cristiana Scandura

Venerdì delle I settimana di Quaresima

Letture: Ez 18,21-28; Sal 129; Mt 5,20-26

Riflessione biblica

“Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 5,20-26). Non condanna gli scribi e i farisei, ma ci invita a vivere la giustizia in dimensione più profonda. Essi cercavano: l’osservanza della legge per sentirsi giusti dinanzi a Dio e ottenere meriti dinanzi a lui. Tale autogiustificazione non è in linea con il pensiero di Dio né con quello di Gesù: “Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù” (Rom 3,23-24). Gesù è la nostra giustizia e ci dà la forza di portarla a compimento nell’amore a Dio e ai fratelli. Anzi, l’amore ai fratelli è la pienezza della Legge: “L’amore non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge è la carità” (Rom 13,10). Non basta “non uccidere”, bisogna rispettare il prossimo e la sua dignità di persona umana e di figlio di Dio. “Chi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna”. Tutti siamo chiamati in causa: la nostra relazione con i fratelli non è improntata allo stile evangelico dell’amore, ma allo stile scurrile della strada e della TV. La relazione con il prossimo non può regolarsi in base alle “parolaccie”, come segno di chissà quale “maturità” o come procedimento di intimidazione, di pressione, di superiorità etica sugli altri. parola-300x169 La forza del perdonoLa parola di Dio ci mette in guardia: “Se uno non pecca nel parlare, costui è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo. La lingua: è un piccolo fuoco, può incendiare una grande foresta!” (Gc 3,5). Di più: “La carità è magnanima, benevola è la carità; non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto” (1Cor 13,5-6). Seguiamo la regola della semplicità: “il nostro parlare sia sì, sì, no, no, il di più viene dal Maligno” (Mt 5,37). Non adiriamoci con il fratello: “Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo” (Ef 4,31-5,1).

Lettura esistenziale

“Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono” (Mt 5, 23-24).Prima di metterci in preghiera o di partecipare ad un’azione liturgica, per esempio all’Eucaristia, bisogna che il nostro cuore sia riconciliato con tutti e libero da rancori e risentimenti. Il fine di ogni azione liturgica, infatti, è quello di assumere gli stessi sentimenti di Cristo, di conformarci a Lui. Pertanto, non avrebbe senso fare la comunione con Cristo se da questa comunione escludiamo qualche fratello o sorella.

Dio per primo è venuto incontro all’uomo, il cui peccato lo aveva interiormente diviso, per operare in lui una riconciliazione profonda con Dio, con se stesso e con il prossimo. La riconciliazione riguarda non solo il presente, ma anche il passato. Prima di metterci a pregare, dovremmo chiederci se per caso nel nostro cuore ci sono sentimenti contrari all’amore, sia per episodi correnti, sia per episodi del passato.

I Padri del deserto, quando iniziavano la preghiera, cominciavano sempre pregando per i propri nemici. Oggi, stesso, affidiamo alla misericordia di Dio tutte quelle persone che, volontariamente o involontariamente, ci hanno causato qualche sofferenza e asteniamoci dal giudicarle.

Pensiamo alla misericordia di cui anche noi abbiamo bisogno quotidianamente, sia da parte di Dio che da parte del nostro prossimo.

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