Al netto degli insulti e dei rancori che caratterizzano e squalificano diversi interventi critici nei confronti dell’operato dell’attuale vescovo di Roma, meritano di essere prese in considerazione e adeguatamente falsificate le posizioni che rivelano una certa valenza culturale. In primo luogo, si tratta dell’accusa relativa a un presunto deficit teologico-filosofico del Papa. Tale obiezione sottende una concezione elitaria, snobistica e falsamente accademica della cultura, che, anche in relazione al nostro attuale contesto, si rivela decisamente anacronistica. E gli ambienti radical chic dovranno farsene una ragione. Una seconda obiezione tende di volta in volta a rilevare le antinomie, reali o presunte, dell’agire e delle dichiarazioni di Francesco, ritenendo contraddittorio il suo magistero e aggrappandosi ad una acritica assunzione idolatrica del principio di “non contraddizione”.
Entrambe queste posizioni critiche si possono annoverare nella lista delle obiezioni che Tommaso d’Aquino inseriva nel videtur quod (= sembra che), con cui dava inizio alla trattazione di ciascun articolo della sua Summa Theologiae e tali obiezioni vanno senz’altro attribuite alla diffusa tendenza, particolarmente frequentata nel nostro tempo, di fermarsi alle apparenze. Ma ogni videtur quod, non può non essere seguito da un sed contra, che consente di superare le apparenze per attingere la realtà viva che ad esse inesorabilmente sfugge. Un “tuttavia” rispetto alle obiezioni sopra descritte ci viene ora offerto dalla pubblicazione di un lavoro a più mani, curato dalla sociologa Monica Simeoni, dal titolo I gesti e la filigrana. La trama del pensiero teologico e sociale di Francesco (Gabrielli, pagine 194, euro 18,00). La lettura di questi saggi offre materiale documentato e convincente onde replicare alle suddette critiche.
A parte le istanze critiche doverose nei confronti della rappresentazione sistematica e manualistica del pensiero di Hegel, in questa sede va tenuto presente proprio il superamento del principio di non contraddizione nella dialettica che ha la pretesa di pensare il tutto, come direbbe Franz Rosenzweig, espressa nella forma “il vero è l’intero” (Das Wahre ist das Ganze). E l’intero nella sua complessità non solo comprende A e non A, bensì si fa carico anche delle sfumature e di quelle che all’apparenza possono sembrare antinomie. Ed è proprio la dialettica hegeliana, ripresa e interpretata da Fessard ed applicata agli esercizi ignaziani a suggerire, ripetendola come un mantra, a papa Francesco la ripresa della massima Non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo, divinum est (“Non lasciarsi costringere da ciò che ci supera, ma farsi contenere dal più piccolo, questo è divino”).
L’intero, nella sua contraddittoria concretezza, ci conduce all’altra fonte del pensiero bergogliano: il Romano Guardini de L’opposizione polare, la cui prima edizione risale al 1925, che il futuro Papa studia in Germania, nel tentativo non concluso di scrivere un dottorato su questo autore. Sempre cercando di andare oltre le apparenze, dobbiamo rilevare che non sempre l’incompiutezza è un difetto, anzi essa può aprire ad ulteriori orizzonti di senso, come mostrano le Pietà, gli Schiavi e le Tombe medicee di Michelangelo e la Sinfonia n. 8 di Franz Schubert.
A questi fondamentali riferimenti va aggiunta l’infrastruttura filosofica dell’idea di popolo quale categoria “mitica”, così come l’ha espressa papa Francesco nell’intervista rilasciata a Dominique Wolton e riportata in un libro edito in Italia nel 2017: «C’è un pensatore che lei dovrebbe leggere: Rodolfo Kusch, un tedesco che viveva nel Nordovest dell’Argentina, un bravissimo filosofo e antropologo. Lui ha fatto capire una cosa: che la parola “popolo” non è una parola logica. È una parola mitica. Non si può parlare di popolo logicamente, perché sarebbe fare unicamente una descrizione. Per capire un popolo, capire quali sono i valori di questo popolo, bisogna entrare nello spirito, nel cuore, nel lavoro, nella storia e nel mito della sua tradizione. Questo punto è veramente alla base della teologia detta “del popolo”. Vale a dire andare con il popolo, vedere come si esprime. Questa distinzione è importante. Il popolo non è una categoria logica, è una categoria mitica».
Interessante potrebbe essere per noi rilevare che il fatto che il pensatore di riferimento del Papa si ispiri a sua volta al pensiero heideggeriano, criticamente assunto nella distinzione fra “essere” e “stare”, qualificando con la prima categoria la visione razionalista e dominatrice dell’uomo occidentale e con la seconda la visione degli indigeni latinoamericani, che vivrebbero in armonia con la natura che li circonda e animati, appunto, da un orizzonte mitologico. E il riferimento al “popolo” è ricorrente negli scritti di cui si nutre il volume di cui parliamo.
Chi avrà la pazienza di leggere queste pagine si ritroverà alla fine con un bagaglio di informazioni e riflessioni che consentiranno il superamento delle obiezioni riportate all’inizio, con notevole profitto innanzitutto per l’onestà intellettuale che dovrebbe segnare ogni dibattito e ogni interlocuzione soprattutto quando si rivolgono a chi rappresenta a pieno titolo una grande comunità credente come quella cattolica.