di Salvatore Di Bartolo – Esporre il crocifisso nelle scuole non rappresenta una condotta discriminatoria. A stabilirlo è stata la Suprema Corte, che con la sentenza 24414/2021 ha chiarito definitivamente che il massimo simbolo della cristianità può essere esposto nelle aule. Purché a volerlo sia la comunità scolastica, la quale può anche stabilire di accompagnarlo con i simboli di altre confessioni religiose presenti in classe, recita il comunicato stampa diffuso dalla Cassazione.
La Suprema Corte evidenzia poi il fatto che la questione non è meramente religiosa, infatti al crocifisso “si legano l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo”. Ragion per cui, la sua affissione “non costituisce un atto di discriminazione del docente dissenziente per causa di religione”.
Sotto il profilo prettamente giuridico, il comunicato ricorda come un regolamento degli anni Venti, mai stato abrogato, avesse imposto la presenza del crocifisso nelle aule. “Ogni istituto ha la bandiera nazionale, ogni aula l’immagine del crocifisso e il ritratto del Re“, recita il testo del citato regolamento. Nella sentenza la Corte ha provveduto a chiarire altresì che la norma di un secolo fa è suscettibile di essere interpretata oggi in senso conforme alla Costituzione.
La sentenza precisa inoltre che “la laicità italiana non è “neutralizzante“: intendendo con ciò che l’affissione del crocifisso “non nega le peculiarità e le identità di ogni credo e non persegue un obiettivo di tendenziale e progressiva irrilevanza del sentire religioso, destinato a rimanere nell’intimità della coscienza dell’individuo”.
Secondo la Suprema Corte, dunque, esporre il crocifisso a scuola non è un obbligo di legge, ma laddove le singole classi rappresentate dai loro organismi ritenessero di farlo, la presenza del simbolo non può essere interpretata come condotta lesiva e di conseguenza lo stesso simbolo non può essere poi rimosso, se non attraverso la successiva adozione di una nuova delibera.