Parliamo di un uomo vissuto otto secoli fa. Eppure la sua presenza in libreria supera vip e guru del momento. Basta dare un’occhiata ai motori di ricerca delle librerie on line per accorgersi che solo nel 2018 su Francesco d’Assisi è uscito in Italia un libro ogni quindici giorni. Una stima approssimativa che non tiene conto dei testi su uomini (spesso santi) e opere che da ottocento anni continuano a parlare e fiorire nel nome del Poverello. Numeri significativi anche se sono volumi in gran parte pubblicati da case editrici francescane. Tanto più che non mancano i grandi editori laici. Non è un mistero infatti che il Patrono d’Italia piaccia un po’ a tutti: progressisti ed ecologisti, nazionalisti e pacifisti. Una trasversalità che spesso ha ridotto il santo a una sua goffa caricatura, tirato qua e là per il saio da improbabili devoti.
Sono allora davvero preziosi due volumetti usciti nel 2018 perché capaci di restituirci il fascino autentico di un gigante della Chiesa liberandolo dalle letture stereotipate. Uno è senz’altro il libretto delle Edizioni Biblioteca Francescana che raccoglie Tre conferenze inedite su san Francesco d’Assisi. Milano: 1981-1983 dello storico Raoul Manselli (1917-1984). Sotto la sua lente di specialista del Medioevo l’incredibile vicenda del figlio di Pietro Bernardone viene ricollocata all’interno del suo contesto storico in cui si diffondevano eresie e devianze religiose. È il caso per esempio di Valdo il quale si mosse a partire dal problema della povertà, mentre «in Francesco – diceva Manselli – il momento determinante della conversione non è la cessione dei beni ai poveri, non è il rifiuto della ricchezza e la scelta pauperistica…la povertà francescana è l’aspetto di una scoperta ben più grande: quella di ritrovare, di recuperare, in chi è povero, in chi è abbandonato, in chi è indifeso, in chi corre il rischio della vita quotidiana, ritrovare in tutti costoro Cristo».
È un punto che sta a cuore a Manselli perché ha originato non pochi fraintendimenti. «La povertà è in un certo senso un corollario ineludibile, certamente, ma un corollario che porta a compimento la scelta della disponibilità verso gli altri, dell’amore verso gli altri». Non riusciremmo altrimenti a capire cosa spinse il figlio di un ricco mercante, al limite della nobiltà, a passare della parte dei reietti, se non per il fatto che «tra i reietti, i poveri, i sofferenti, i lebbrosi là c’è Cristo, Cristo Crocifisso». Un’interpretazione coerente con lo stesso Testamento di Francesco. In questo splendido documento spiega infatti il medievista «Francesco non dice “ho venduto i miei beni e dopo poco uscii dal secolo”, ma “il Signore mi condusse tra loro (i lebbrosi) e usai con essi misericordia”». Sono coordinate essenziali che si ritrovano in un altro volume passato in sordina l’anno scorso ma che invece merita un’attenta lettura. È quello con cinque saggi (di cui tre inediti) di un grande della cultura del Novecento, Romano Guardini (1885-1968) su I santi e san Francesco (Morcelliana). Anche in questo caso il ritratto del Povero d’Assisi è tanto lontano da certe vulgate ideologiche o da film disorientanti.
Colpisce che già Guardini cento anni fa denunciava le strumentalizzazioni: «Francesco è stato visto in modo interamente errato, come se fosse stato un trasfiguratore panteistico della natura. Lui, che ha pianto sino ad avere gli occhi malati a motivo del pentimento». Così come non regge la narrazione di un ribelle ostile alla Chiesa. Scrive Guardini: «Non ci è consentito di lasciarci deformare san Francesco né in un registro romantico-lirico, né in uno esperienziale-soggettivistico. Egli viveva la povertà ispirato dalla stoltezza della Croce. E stava nella Chiesa, come noi sul suolo che ci sostiene e nell’aria che respiriamo». Non sorprende che sia Guardini che Manselli prendano sul tema le distanze dalla posizione dello storico protestante francese Paul Sabatier (pur ancora tanto in voga oggi). Guardini ritrae in maniera avvincente l’avventura di un uomo – che come tutti i santi – si è lasciato trasformare da Cristo – diventando «tutto di Dio». Per cui anche «la sua povertà è libertà»: voleva essere interamente libero. «Libero per Dio», senza che ci fosse nulla tra lui e Dio: «Di ciò la povertà costituisce la forma». Siamo così conquistati da un uomo in cui «tutto arde»: la cui indole «era piena di finezza e di musicalità, ma anche di fuoco e di durezza». «Un uomo d’azione» avrebbe insomma detto Chesterton non certo «un protagonista di storie graziose» che liberato dalle maschere di cui è stato ricoperto continua a scuotere e illuminare le nostre coscienze.