Alla luce di ciò individuò alcune caratteristiche utili per disegnare l’identikit del fascismo eterno. Questo è un decalogo ispirato da quelle riflessioni.
1. La prima caratteristica è il culto per la tradizione. Il richiamo a vere o presunte radici è usato per creare fossati tra etnie “elette”, tendenzialmente quelle del Paese in cui il fascismo eterno mette radici, e il resto dell’umanità.
2. Il fascismo eterno predilige pilotare gli istinti del cosiddetto “popolo” e detesta i principi del pensiero critico. L’età della Ragione – cioè l’Illuminismo – viene vista come l’inizio della depravazione moderna.
3. La cultura è contro il popolo. Il sospetto verso “chi ha studiato” è ancora oggi un sintomo dell’eterno fascismo: dalla dichiarazione attribuita al ministro nazista della Propaganda Paul Joseph Goebbels (“Quando sento parlare di cultura, metto mano alla pistola”) all’uso frequente di espressioni brandite ancora oggi come insulti: “intellettuali di sinistra”, “radical chic”, “comunisti” e via elencando.
4. Non essere d’accordo con il messaggio propinato dal capo è un tradimento, meritevole di ulteriori insulti (nella migliore delle ipotesi).
5. Il razzismo è una chiave di volta per ogni sistema fascista o parafascista, che insegue il consenso esasperando la naturale paura nei confronti della differenza. Il primo appello di un movimento simil-fascista è contro gli intrusi, prima di tutto gli stranieri o coloro che sono percepiti come estranei (rom, ebrei, omosessuali, dissidenti, ecc.).
6. La frustrazione sociale e individuale è usata come lievito dall’autoritarismo. Infatti una caratteristica comune anche a tutti i “vecchi” fascismi è stato l’appello a classi sociali in difficoltà per qualche vera o presunta crisi economica o umiliazione politica.
7. Il nazionalismo diventa il collante per coloro che si sentono privi di un’identità sociale. Il fascismo eterno cerca di convincerli del fatto che la loro qualità fondamentale è quella di appartenere a un “popolo” che ha radici in un unico Paese. Quindi, per consolidare questa “identità”, occorre avere sempre nemici: minoranze, stranieri, presunte caste e ipotetici complotti sovranazionali. Gli adepti devono sentirsi circondati e, ovviamente, la xenofobia è il mezzo più semplice per garantire questa sensazione.
8. Il pacifismo è collusione col nemico ed è cattivo perché la vita è un conflitto permanente per difendere Nazione, identità e tradizione.
9. Ogni cittadino della Nazione appartiene al popolo migliore del mondo, i membri del partito sono i cittadini migliori, ogni cittadino può (o dovrebbe) diventare un membro del partito. E il leader è il Numero Uno tra i migliori.
10. Il cosiddetto popolo è concepito come un’entità monolitica che esprime la “volontà comune”. Dal momento che nessuna grande quantità di esseri umani può esprimere all’unisono una volontà comune, il leader è il loro interprete. Oggi non servono più le vecchie adunate oceaniche; c’è la grande piazza del web in cui la risposta emotiva di alcuni può essere presentata come la “voce del popolo”.
La morale? Il nazionalpopulismo e l’autoritarismo antidemocratici, tipici del fascismo eterno, mutano e si riproducono. Siccome viviamo in un’epoca in cui, in Italia e altrove, il terreno sembra ben concimato, la riflessione proposta 23 anni da Eco resta molto attuale. Perché (questa è una risposta preventiva a chi contesterà il legame con vecchi schemi) è evidente che il fascismo non è sparito nel 1945: la sua visione del mondo e la sua psicologia sono, per nostra sfortuna, più coriacee di Benito Mussolini.