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Giovedì Santo a Gerusalemme, il Patriarca Pizzaballa: “I sette verbi della Pasqua”

Con la Messa “nella Cena del Signore” e la processione eucaristica al Santo Sepolcro, si è aperto oggi, Giovedì Santo, il Triduo pasquale a Gerusalemme. A presiedere il rito il patriarca latino, Fra Pierbattista Pizzaballa che nell’omelia ha ricordato l’istituzione del sacerdozio e della Eucaristia. “Quest’anno – ha detto – mi colpisce particolarmente il clima in cui sono stati istituiti, quasi fondati: ‘nella notte in cui fu tradito’. L’ora di Cristo coincide con l’ora delle tenebre”, con la notte di Giuda che tradì Gesù, con la notte del rinnegamento di Pietro e della fuga degli Apostoli. “Non vogliamo attardarci sul lato oscuro di quella notte e di ogni notte, personale, politica, sociale e anche ecclesiale. Quel lato – ha spiegato Pizzaballa – lo conosciamo bene, fin troppo, al punto da farci forse l’abitudine. La nostra vita, con i suoi passaggi e le sue crisi, la nostra Terra Santa con le sue violenze e le sue ingiustizie, la Chiesa stessa con le sue fatiche e le sue contraddizioni, ci rendono ogni giorno familiare il clima pesante di quella notte in cui il Signore fu tradito”. Il patriarca ha riletto il racconto evangelico della lavanda dei piedi come “il modo con cui Gesù rispose alla disgregazione e allo sbandamento dei suoi, la Sua reazione alla paura e allo scoraggiamento”. Dal brano di Giovanni Pizzaballa ha estratto “sette verbi, quanti sono i giorni della creazione”: “Si alzò, depose le vesti, preso un asciugatoio, lo cinse attorno alla vita, versò dell’acqua, lavò i piedi dei fratelli, li asciugò”. Per Pizzaballa questi sono “i verbi della Pasqua, le azioni nuove che oppongono ai meccanismi della disgregazione e della divisione, il dinamismo della comunione”, sono “indicazioni di vita che il Maestro ha lasciato come eredità ai suoi discepoli, a noi, piccolo gregge di Terra Santa, forse oggi un po’ spaventato, ma che sa di non essere mai abbandonato e lasciato solo”. Dunque: “Alzarsi, senza restare seduti nella rassegnazione e paralizzati dallo sconforto, senza chiudersi nella propria solitudine, una delle nuove forme di povertà oggi. Deporre le vesti del proprio orgoglioso diritto e del vantaggio individuale, della pretesa di essere sempre nel giusto, di non mettersi mai in discussione, della chiusura ad uno stile di ascolto e di accoglienza. Cingersi della vita dell’altro, assumendola come propria. Fare sì che l’altro diventi soggetto e non oggetto della propria azione. Versare la propria vita raccogliendola nelle proprie mani, senza disperderla in sterili recriminazioni e nostalgie, senza perdersi in aride polemiche ideologiche di qualsiasi genere, ma cercando di fare unità in noi stessi. Lavare i piedi dei fratelli, accettando i loro limiti e senza arretrare di fronte alla fatica delle relazioni, fatica che, qui in Terra Santa e a Gerusalemme, conosciamo bene”. “Quando tutto diventa sospetto, sfiducia, tradimento, -a proseguito Pizzaballa – Gesù risponde lavando i piedi, a tutti, anche a Giuda, e indica anche a noi il modo per uscire dalle nostre notti: chinarsi e lavare i piedi, anche a chi ha il cuore lontano da noi. Asciugare, non solo i piedi ma anche le lacrime, riabilitare, rinsaldare ciò che è debole senza lasciare indietro nessuno”. Il pensiero del Patriarca è andato ai “tanti sacerdoti che spesso si sentono e sono soli, non ascoltati, disorientati dal cambiamento così repentino delle proprie comunità, ai tanti sacerdoti che spendono la loro vita a servizio della Chiesa e delle loro comunità, alla loro inevitabile fatica, ma anche alla consolazione nel fare della propria vita un dono di sé”. Così, ha concluso, “per noi, per tutti, la notte della morte si trasforma nella notte della vita ritrovata, perché donata. L’amore vero ricrea la comunione dentro e attraverso le nostre divisioni e le nostre ferite, perché Dio è Amore e noi abbiamo creduto all’amore. La sinodalità, che il Santo Padre ci propone come il modo di essere Chiesa in questo tempo e che ci vede coinvolti tutti e dappertutto, altro non è che la risposta della comunione al tempo della disgregazione e della confusione. Senza questo sguardo spirituale, la stessa sinodalità, anzi la Chiesa intera, si riduce a strategia funzionale, incapace di ricrearci e di ricreare lo spazio e il tempo per una rinnovata gioia del Vangelo”.

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