Attualmente ancora il 40% degli shopper, i “sacchetti”, in circolazione sono illegali. E questo malgrado la legge 123 del 2017, che recepisce una direttiva Ue del 2015, imponga di utilizzare a partire dal 1° gennaio 2018 solo sacchetti biodegradabili e compostabili. Da quasi cinque anni e mezzo ci dovrebbero essere dunque solo “sacchetti” in bioplastica, invece uno su quattro continua a essere fuori legge. E non si tratta di piccole quantità. Gli shopper immessi sul mercato nel 2021 (ultimo dato disponibile) sono stati 76mila tonnellate, e dunque 30mila e 400 quelle illegali. La percentuale dieci anni fa era più alta, ben il 77%, dunque una riduzione c’è stata ma gli shopper fuori legge continuano ad essere ancora troppi. Un fenomeno preoccupante al quale, nella passata legislatura, la Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti ha dedicato un’intera relazione.
Il faro della commissione sul ciclo dei rifiuti
Scrive la Commissione che «pur riducendosi negli anni, rimane ancora diffusa sul territorio nazionale la fornitura di sacchetti non a norma, in particolare presso gli esercizi commerciali, al dettaglio e ambulanti, che rappresentano, nel 2020, circa il 25 per cento del totale dell’immesso al consumo». La produzione delle plastiche non a norma «spesso avviene negli stessi siti produttivi dove vengono prodotte le plastiche biodegradabili e compostabili e ciò al fine di occupare una porzione di mercato “diversa”, generando così un surplus di profitti». Secondo Legambiente è un’attività con un valore stimato tra gli 85 e i 100 milioni di euro. Con la presenza di organizzazioni criminali. Scrive ancora la Commissione, sulla base delle indagini delle Forze dell’ordine, che «tutti i commercianti acquistano gli shopper da persone che, sistematicamente, si presentano in modo anonimo presso il loro negozio con mezzi propri, divisi per quartiere, senza rilasciare ricevute di pagamento, fatture o quant’altro documento fiscalmente valido anche ai fini della tracciabilità degli shopper. Tutte circostanze, queste, che lasciano supporre l’esistenza di un sistema di persone legate da un vincolo associativo il quale sfocia in un’organizzazione criminale dedita al traffico illecito per trarne profitto». Shopper che hanno un costo inferiore fino ad un decimo e che vengono anche importate da Paesi asiatici come il Vietnam, si legge in un rapporto del Comando unità forestali, ambientali e agroalimentari dei Carabinieri. Un buon affare con scarsi rischi.
Per chi viola c’è solo una sanzione amministrativa
Per chi viola o elude la legge è prevista solo una sanzione amministrativa. Solo chi applica alle buste una etichetta “biodegradabile – compostabile” non corrispondente alle caratteristiche del materiale, è perseguibile penalmente, per “frode nell’esercizio del commercio”. Un’illegalità che ha gravi conseguenze ambientali. L’Italia impegnata nel riciclo organico delle bioplastiche compostabili viaggia con oltre 8 anni di anticipo rispetto agli obiettivi: la quantità di imballaggi riciclati nei circa 155 impianti di trattamento ha raggiunto nel 2022 quota 60,7%, dieci punti in più rispetto all’obiettivo fissato per il 2025. Lo sottolinea la relazione annuale di Biorepack, il consorzio nazionale per il riciclo organico degli imballaggi in bioplastica compostabile. I risultati avrebbero potuto essere ancora più significativi se la frazione umida raccolta fosse stata qualitativamente più pura. Purtroppo, la presenza di materiali non compostabili, soprattutto gli shopper, rimane un fattore di penalizzazione dei risultati di riciclo. La presenza di plastica nell’umido (indagine Cic 2021 commissionate da Biorepack) è evidente. La media nazionale di materiale non compostabile è del 6,89%, di cui plastica 3,46%, che addirittura supera la bioplastica (3,22%). Ancora oggi, nonostante il divieto, il 30% dei sacchetti utilizzati per raccogliere la frazione organica è in plastica.