Gli è stato accanto nei giorni di sofferenza e torpore prima della fine, quando “fratello Biagio” è stato vinto dal cancro che lo ha riportato al Signore a soli 59 anni, e “ci è stato di esempio di un dolore incrociato con una fede profonda, per diventare anche speranza e amore”. Oggi don Giuseppe Vitrano, per tutti “padre Pino” lo accompagna nel funerale nella cattedrale di Palermo, alle 10.30, circondato dagli ultimi della città che tanto ha amato, dai volontari della Missione di Speranza e Carità che hanno fondato insieme quasi trent’anni fa, dall’arcivescovo Corrado Lorefice che presiede le esequie, le autorità cittadine e tanti palermitani e persone comuni da tutta Italia e anche dalla Spagna e Inghilterra. Mille in cattedrale e altri novemila, almeno, fuori.
Un giovane che “usava parole evangeliche” con gli ultimi
Questo piccolo sacerdote di 67 anni e una bella barba bianca, già salesiano, di Misilmeri, alla periferia di Palermo, racconta a Vatican News il primo incontro con Biagio Conte, sotto i portici della stazione centrale del capoluogo siciliano: un ventinovenne in jeans, berretto ricavato dalla manica di un maglione e un bastone da pastore, che però coi i più poveri “usava parole evangeliche” e “aveva autorevolezza”. Fu definitivamente conquistato da fratel Biagio e dalla sua “fede perseverante”, racconta, quando lo vide per tredici giorni cibarsi solo dell’Eucaristia che gli portava ogni sera, davanti a quella che sarebbe poi diventata la prima sede della Missione, in via Archirafi.
Cosa le lascia questo ultimo mese con fratel Biagio? Come ha vissuto lui e voi della sua famiglia e comunità questo momento di passaggio?
Fratello Biagio in questo mese per noi è stato prezioso, perché ci lascia un testamento non scritto ma vissuto attraverso anche la sofferenza. Che la sofferenza poi non è fine a sé stessa, è il modo per avvicinarci sempre di più a Colui che ci ha amato per primo, che è Cristo Gesù. Quando questa sofferenza si vive incrociata con una fede profonda, allora prende senso tutto, altrimenti potrebbe diventare disperazione. E in questo anche dobbiamo dire che fratello Biagio ci è stato di esempio in tanti momenti, in tanti modi, per cui quella realtà di vita alla fine la vogliamo vivere anche noi, con uno specifico che è quello di sapere che quella sofferenza è anche speranza, è anche amore più grande che il Signore vuole creare nei nostri cuori.
Come guarda ora all’omaggio dei palermitani a fratel Biagio? C’è sicuramente tanto affetto, tanta commozione, ma anche tanti che magari sotto sotto lo consideravano un sognatore, un utopista per le sue battaglie tra digiuni e preghiere, e oggi magari lo chiamano già santo?
Tutto questo chiaramente porta tanti a ravvedersi e rivedersi non solo nelle idee, ma anche in una coscienza, che purtroppo spesso è stata assopita o distratta da tante cose futili, nella vita. Oggi rivedere tutto questo per tanti è anche il cosiddetto “esame di coscienza”. Chiaramente porta anche la sua positività, che è quella di scoprire che la fede va vissuta nella perseveranza e che lui era uno di grande fede, perché era costante in questa fede, non era occasionale, e la perseveranza in lui portava la lungimiranza, cioè la capacità di vedere oltre quello che di solito noi vediamo. Questo oggi ci spinge ancor di più a radicare la nostra vita in una dimensione ancora più grande e più profonda.
Quale sentimento prevale ora tra voi della Missione? Il dolore della perdita, il grazie al Signore per avervelo e avercelo donato, oppure il timore per un cammino da proseguire senza la sua guida spirituale?
Lui già ci faceva capire da tempo che la Missione per lui era non solo Palermo, non solo la Sicilia, non solo l’Europa, era in tutto il mondo. E questo a cosa porta? Che noi già eravamo in parte anche preparati ad affrontare questo, anche se chiaramente affrontarlo come lui aveva nel cuore, forse siamo molto impreparati. Ma dobbiamo avere ora il coraggio di continuare sulla sua scia, con una speranza ancora più grande e con una carità ancora più profonda. Questo sì.
Come descriverebbe fratel Biagio e questi trent’ anni con lui a chi non conosce la vostra Missione?
È difficile sintetizzare trent’anni di esperienza che portano a una dimensione di vita che non sempre si può descrivere a parole, perché con lui era un parlare non tanto a voce, ma cuore a cuore. E allora, quando tu incominci a scoprire questo linguaggio del cuore, comprendi che solo in quel modo può andare avanti a maturare un cammino di trent’anni con Lui.
Qual è ora il suo ricordo più vivo degli anni vissuti con fratel Biagio? Un episodio, un suo gesto, una sua parola?
Sicuramente l’incontro iniziale con lui, lì già mi ha sconvolto. Ero alla stazione centrale, stavo cercando un ragazzo, e in un momento particolare incontro questo giovane che non conoscevo, che usa delle parole talmente profonde ed evangeliche nei confronti di un fratello che lì stava sbagliando. Aveva buttato la pasta a terra appena gliela avevano consegnata, con il piatto e tutto, ma io ancora non avevo capito che quello era un alcolizzato. Tutti intorno si stavano scaraventando contro questa persona, un tunisino ubriaco, ma Biagio subito reagì. Tutti stavano per mettergli addosso le mani e lui subito, dietro di me – io ancora non lo conoscevo – disse: “Fermi tutti, non toccatelo. Lui ha sbagliato, ma noi non dobbiamo ricambiare al male con il male”. Lì io sono rimasto colpito, perché tutti si sono fermati grazie a lui, che aveva un timbro di voce forte, potente, ma soprattutto aveva autorevolezza e capacità di farsi ascoltare. Era ancora giovane, coi jeans, in testa un berretto che era fatto con una manica di maglione e un bastone da pastore. In quel momento mi sono detto: “Guarda come lui, laico, è capace di fronteggiare tutto e di usare parole evangeliche”. Io forse, guardando l’ora, avrei detto: “Dategliene quattro, così la prossima volta ci pensa”. Mi sono squalificato come prete, anche se ero ancora giovane. Questo episodio mi ha dato l’input di incominciare a vedere in Biagio qualcosa di particolare, di straordinario.
Poi chiaramente il suo digiunare in via Archirafi nel 1993, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, quando per tredici giorni lui digiunava. Io il primo giorno arrivo, tornando da scuola, perché insegnavo vicino a dove mi aveva indicato che avrebbe fatto questo digiuno, mi avvicino e gli dico: “Fratello Biagio, come va?”. E lui: “Don Pino, bene! Questa mattina alle cinque mi sono piazzato qui, con questa rete, per indicare che i poveri hanno diritto a un letto e a un tetto” e mi indicava la struttura tutta abbandonata. “Poi verso le sei meno un quarto – racconta – è passato uno, e mi ha lasciato questo crocifisso”. Era un crocifisso di San Damiano di venti centimetri, avvolto in un giornale. “Me lo ha dato uno con la Vespa dicendomi: ‘Vieni Francesco, e ripara la mia casa’. E io l’ho attaccato qui”. Su una delle due colonne di entrata, quelle dove era attaccato il cancello. E conclude: “Adesso possiamo incominciare, siamo a posto”. “Che ti serve – gli chiedo – un pò di pane?”. “No, no, niente – mi risponde Biagio – Tu portami se vuoi la Comunione”. Io per tredici giorni, la sera tardi, lo accompagnavo con questa Comunione e cominciai a capire che non c’era solo qualcosa di “spettacolare”, né politico, nè sociale, ma qualcosa che partiva da una motivazione più grande, quella della fede in Dio e che lui era totalmente legato a Dio per iniziare tutto.
Ma sicuramente lui tuonerà anche dal cielo… perché la sua voce aveva un grande timbro, e arrivava lontano, penetrava. Era sicuramente il Signore che parlava ed ora sarà un megafono molto più grande dal cielo per arrivare a tutti noi.
Il Papa ha detto che Biagio ha offerto ai poveri “consolazione, protezione e speranza”: sente che questa onda d’amore che vi accompagna in questi giorni vi aiuterà a dare seguito a questa sua offerta?
Sicuramente sì: Io ringrazio il Santo Padre anche delle sue parole, che sono di conforto e soprattutto di stimolo ad andare avanti, con la gioia della speranza e della carità.
Il presidente Mattarella ha detto che fratel Biagio va onorato con concretezza. In questi giorni di commozione e parole, qualcuno delle istituzioni vi ha promesso un nuovo aiuto, una nuova struttura per soddisfare le tante richieste che vi arrivano dagli ultimi?
Chiaramente le promesse ci sono, ma noi che puntiamo verso la Terra promessa che solo Dio sa dare, non stiamo ad ascoltare solo le promesse “umane”. Sicuramente c’è chi già ha pensato a tutto e si servirà forse anche di chi meno se l’aspetta per continuare con le vere promesse. Perché se la Missione finora è andata avanti, è grazie a quello che abbiamo scritto proprio all’ingresso di Archirafi: “Il Signore fino ad oggi ci ha soccorso, poi l’umano viene dopo”.