• 22 Novembre 2024 2:41

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Dolci siciliani per il Giorno dei morti, quali sono

In Sicilia la festa dei morti del 2 novembre ha origini antichissime, probabilmente legate al rito pagano della commemorazione dei defunti, quando si pranzava sulle tombe dei cari estinti. un’usanza risalente al rito pagano del pranzare sulle tombe dei cari estinti.  Era ed è tuttora la festa dei bambini, in passato ancor più sentita del Natale: nonni, zii ma anche fratellini morti prematuramente (prima il tasso di mortalità infantile era più alto) portavano dei doni ai bambini che durante l’anno si erano comportati bene. Di fatto erano i genitori che, la sera del primo novembre, si recavano al mercato o nei negozi e acquistavano giocattoli e dolci per i più piccoli. Chi di noi non ricorda la mattina del 2 novembre  quando da bambini si balzava  fuori dal letto, impazienti di cercare dappertutto le cose dei morti, che solitamente venivano nascoste nei luoghi più insospettabili. Si frugava in ogni angolo della casa, finché sul punto di abbandonare la ricerca infruttuosa ecco venir fuori la sorpresa: giocattoli, scarpe e abiti nuovi e poi un vassoio di dolci o di frutta secca.

I cibi tradizionali della commemorazione

Nel cannistru oltre alla frutta secca (nocciole, noci, mandorle, mortella, castagne, carrube, fave o frutti di stagione come melograni) c’erano anche: fruttini di martorana (marzapane), ossa di morto o crozzi ‘i mortu (biscotti di pasta croccante aromatizzata con chiodi di garofano), taralli (ciambelline ricoperte di zucchero), tetù o catalani (biscotti rivestiti con glassa di zucchero e cacao), mustazzola (realizzati con mosto o vino cotto), biscotti regina ricoperti di sesamo e pupaccena o pupi di zucchero fuso raffiguranti guerrieri a cavallo, soldati, signore, trombe, scarpette. Di seguito alcuni dei dolci tipici siciliani della festa dei morti:

  • Frutta martorana. I variopinti fruttini di martorana sono i tradizionali dolci preparati per la festa dei morti. Secondo la leggenda furono inventati in occasione della visita di un vescovo o di un re, per decorare gli alberi spogli del chiostro della Martorana (la chiesa da cui prendono il nome). Le monache benedettine si divertirono ad appendere tra i i rami limoni e mandarini, realizzati con un impasto di mandorle e miele. I fruttini erano dipinti così bene da sembrare dei veri agrumi. Oggi è facile trovarli tutto l’anno nelle pasticcerie di Palermo. Solo pochi ingredienti per prepararli, così come prevede l’antica ricetta conventuale: mandorle, zucchero e acqua (e coloranti alimentari per decorarli esternamente).
  • Rame di NapoliUn biscotto dal cuore morbido al gusto di cacao, ricoperto per intero da una glassa di cioccolato fondente. Si afferma, infatti, che durante il periodo borbonico, successivamente all’unificazione del Regno di Napoli con quello di Sicilia, fu coniata una moneta contenente una lega di rame, in modo da sostituire la più ricca lega di oro e argento. Il popolo, con l’introduzione di tale moneta, pensò bene di creare un dolce che riproducesse tale moneta, inventando così la Rama di Napoli. La ricetta originale prevedeva l’utilizzo di farina, zucchero, cacao amaro e marmellata di arance.
  • Inzuddi. In siciliano gli‘nzuddi, sono dei dolci tipici delle province di Catania e Messina (dove assumono una forma quadrata, leggermente schiacciata), realizzati con farina, zucchero, mandorle, cannella e albume d’uovo. Questi biscotti nascono a Catania, nel monastero delle suore Vincenziane: ‘nzuddu è infatti il diminutivo in dialetto di Vincenzo. Narra la leggenda che dopo il devastante terremoto del 1908 le monache, impietositosi dei messinesi, donarono loro la ricetta degli ‘nzuddi. Nella città etnea questi biscotti sono tondi, schiacciati e vengono decorati con una mandorla o una ciliegina al centro.
  • Pupi di zucchero o Pupaccena. Statuette antropomorfe di zucchero colorato, che riproducono i paladini o generiche figure maschili e femminili. Si scioglie lo zucchero in acqua, si aggiunge succo di limone e si fa bollire fino a fonderlo, mescolando durante la bollitura. Si versa lo zucchero fuso in appositi stampi di gesso o terracotta, che si mettono nel forno per farli rassodare e poi si lasciano raffreddare. Si tolgono delicatamente le statuette dagli stampi e si colorano con apposite tinture vegetali commestibili. Secondo il famoso folclorista Giuseppe Pitrè (Palermo 1841 – 1916), si chiamavano pupi di cena e per cena si intendeva lo zucchero fuso. Secondo altri studiosi il pupo di zucchero esposto a Palermo nelle pasticcerie svizzere era indicato con il nome tedesco di puppchen (bambola) da cui la storpiatura in pupaccena.
  • Tetù o catalani. Biscotti dal cuore morbido, ricoperti di glassa di zucchero o zucchero e cacao. Cambiano nome in base alla città: tetù, tatù, teio o totò. In alcune parti della Sicilia questi dolci sono chiamati biscotti catalani chiari (o biscotti teìo) e sono preparati con la glassa chiara, mentre quelli con la glassa scura al cioccolato vengono chiamati biscotti catalani scuri (o biscotti tetù). L’impasto è a base di farina 00, zucchero, strutto e uova. La forma può essere rotonda oppure allungata e vengono cotti al forno. La glassa chiara è di zucchero a velo e albume, mentre per la glassa scura si aggiunge il cacao, che è spennellata sulla parte esterna dei biscotti.