• 22 Novembre 2024 20:03

Quotidiano di ispirazione cristiana e francescana

di Giuseppe Trovatello – La Proposta di Legge Zan (e altri) sta generando – comprensibilmente – diversi dibattiti, molti dei quali, purtroppo, ideologici e di schieramento senza nemmeno, in tanti casi, una conoscenza diretta del disegno di legge ma, come spesso accade sui social, frutto di condivisioni affrettate e poco approfondite.

Cito una mia cara amica classificando come #parerenonrichiesto la mia considerazione in proposito e mi sforzerò di farlo da un punto di vista strettamente laico ma non laicista.

La violenza verso chiunque e per qualsiasi motivo è già ampiamente normata nel nostro Paese va da sé quindi che – giustamente – chiunque usi o procuri violenza connessa anche a motivi di genere o orientamento sessuale è già oggi condannabile e punibile. L’art. 61 del Codice Penale, tra l’altro, fornisce ai Giudici le circostanze aggravanti per assegnare le pene; circostanze aggravanti che in genere i giudici applicano proprio in virtù della motivazione che ha generato la violenza, sia essa fisica che verbale. Pertanto, mi chiedo, perché “ghettizzare” ulteriormente alcune scelte personali differenziando con una legge la violenza usata contro un omosessuale o un trans o un’altra “categoria” rientrante nella “sigla” LGBTQ+, rispetto alla violenza usata contro una donna, un disabile, una persona di razza o etnia o credo diverso? I diritti che si dice voler tutelare con il DDL Zan sono, di fatto, già garantiti nel nostro diritto.
Credo, quindi, a rigor di logica e di semplificazione dottrinale, che non occorra una legge in tal senso – perché appunto già esistente – ma ancora di più credo che non occorra accentuare differenze (anche giuridiche) tra persone che compiono libere scelte. È la violenza in sé nei confronti di chiunque che va punita perché mai giustificata e non la motivazione per la quale si compie, che può comunque rappresentare un’aggravante.
Aldilà di questo punto del DDL Zan, che è quello su cui più si basano, almeno mediaticamente e sui social, le ragioni a supporto, credo importante valutare anche altri suoi contenuti per i quali, non solo tante associazioni, organizzazioni, enti, ma anche tante donne di diversi schieramenti politici (anche dello stesso On. Zan) e perfino autorevoli “femministe” hanno mostrato forti perplessità e critiche.
Tra queste, per esempio, il fatto che, applicato tale DDL, una delle conseguenze è che “donna” non sarà da intendersi solo la persona con i cromosomi xx, ma anche un maschio che si sente tale. Per tale principio, a rigore di questa legge, per evitare eventuali denunce per “discriminazione”, anche Costoro – giusto per citare alcuni casi ma ce ne sarebbero davvero tantissimi – dovrebbero rientrare nelle cd. “quote rosa” e sempre a Costoro non potrebbe essere vietata nemmeno l’iscrizione e la partecipazione in squadre e gare sportive femminili (con evidenti differenze se non di animo almeno di forza e costituzione) e nemmeno tutti i diritti che le donne hanno conquistato per se stesse in decenni di battaglie. Sembra esagerato? Eppure non lo è dato che, nello stesso DDL, all’art. 2 lett. d) si stabilisce
che deve essere punita la «Propaganda di idee fondate sulla superiorità … atti discriminatori e violenti per motivi … fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere» dove per identità di genere, nella stessa legge [art. 1], si dà tale definizione: «l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione».

Sinceramente ho difficoltà a intendere tale somma di parole come “definizione” perché sembra in realtà indefinita, tutto e il contrario di tutto, l’indeterminato. Non mi soffermo però su tale “definizione” né sulla definizione costituzionale di famiglia, né alle relazioni familiari – padre, madre, fratello, sorella – perché è chiaro che su questo vi è molta distanza rispetto a quanto si vuol normare con detto disegno di legge ma mi chiedo, sarà un Giudice a dover stabilire se promuovere pubblicamente la famiglia, il matrimonio “tradizionale” sia dal punto di vista cattolico che civile, l’importanza di avere figli (anche questi “fatti” tradizionalmente o adottati o affidati), a stabilire se sia o meno un’azione di “Propaganda di idee fondate sulla superiorità” o “discriminante” verso gli LGBTQ+? Dopo l’approvazione (!) del DDL Zan dire liberamente, cioè essere liberi di esprimere le proprie opinioni sulla famiglia, sull’essere contrari all’utero in affitto (oggi “gravidanza solidale”) o alle adozioni da parte di coppie omosessuali spiegandone le ragioni dovute alla propria cultura e formazione (che attenzione non sono sempre o esclusivamente religiose perché, ad esempio, sulle adozioni alle coppie omosessuali autorevolissime voci laiche si sono espresse fortemente in maniera contraria) dovrà essere un tribunale a sancire se è propaganda di superiorità o discriminatorio o omofobo? Se sarà così e se il Giudice in forza di tale legge
dirà di si, Costui o Costei che avrà fatto tale cosa si beccherà da 2 a 6 anni di reclusione.

Oggi chiunque, in maniera garbata, nei luoghi opportuni o se invitato a parlarne, può esprimere le proprie ragioni e il proprio pensiero sulle libere scelte e sui rispettivi modi di vedere la vita. Non vedo perché una legge debba far correre il rischio di normare come discriminatorio o propagandistico il poter esprimere un’opinione contraria …. cosa sarebbe accaduto se si fosse proposta una legge al contrario, ovvero, tendente a punire ogni azione o promozione LGBTQ+? Questo non è avvenuto e non dovrà mai accadere in un Paese democratico. La Proposta, in verità, all’art. 4 parla di pluralismo di idee dicendole “fatte salve” (e meno male, evidentemente perfino il legislatore ha ritenuto opportuno precisarlo visto l’argomento) ma «purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti»; questo “purchè non idonee” e la generalità (perché non definiti espressamente all’interno della proposta di legge) di “atti discriminatori”, capite bene che può lasciare davvero molteplici diversi intendimenti nel denunciare un “atto” come “non idoneo” (a modo di vedere di chi?) o “discriminante” (secondo cosa?). Tanto lavoro per avvocati e giudici, senz’altro, ma davvero è, se non necessario, perlomeno opportuno attenzionare meglio terminologie e condanne.
Per cui, a mio modo di vedere, una legge che rischia di “classificare” chiunque esprima un libero pensiero – qualsiasi esso sia – tanto che questi possa essere denunciato e il proprio intendere debba essere poi discusso in tribunale per capirne le ragioni, mi sembra fin troppo poco democratica. Passa dal voler normare e punire (inutilmente perché come ho detto è già ampiamente normata) la violenza fisica e verbale al voler normare e punire ciò che un tribunale, eventualmente, riterrà violenza di pensiero, non idoneo o discriminatorio!!!

In conclusione, vi è un altro aspetto del DDL Zan per il quale ancora oggi la discussione anche nelle camere consiliari in parlamento subisce – a mio modo di vedere – giusti rallentamenti. Una discussione matura su un disegno di legge di questo tipo non può condursi esclusivamente con posizioni pregiudizievoli e di schieramenti da tifoserie partitiche ma, trattando di temi inerenti a libere scelte compiute da persone, che avranno conseguenze su altre persone (anche più piccole e senza voce rappresentativa) è bene soffermarsi e valutare ogni aspetto che non porti a un bene comune. Sono contro a prescindere a leggi votate con una modalità che negli ultimi tempi è purtroppo sempre più usata, ovvero, a “colpi di fiducia”, abbiamo visto dove tante di queste hanno condotto il Paese, ma a maggior ragione penso che tale modalità non possa essere concepita per leggi di questa tipologia.
Il DDL inoltre, quasi alla fine, all’art. 7 vuole istituire la “giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia” ok, nulla di strano dopotutto, perché no?
In Italia c’è una “Giornata” in memoria o a favore di così tante cose e quasi ogni giorno un monumento o un palazzo illuminato di un colore diverso ce lo ricorda. Contestualmente, però, nello stesso articolo si vuol normare anche qualcosa che riguarda la scuola. Quindi non è più solo una legge finalizzata a voler tutelare una libera scelta e magari promuoverla, renderla pubblica, attraverso l’istituzione di una “Giornata” a lei dedicata che poi possa viversi come meglio si ritiene nelle piazze o nei cortei, come avviene per altre manifestazioni. Il secondo capoverso del 3° comma del citato art. 7 afferma «Le scuole, nel rispetto del piano triennale dell’offerta formativa … e del patto educativo di corresponsabilità, nonché le altre amministrazioni pubbliche provvedono alle attività di cui al precedente periodo…».
Cosa dice il precedente periodo ovvero il 2° comma? «sono organizzate cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile per la realizzazione delle finalità di cui al comma 1».
Cosa dice il 1° comma? «La Repubblica riconosce il giorno 17 maggio quale Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, al fine di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere».

Adesso, a parte che leggere un articolo con tre commi al contrario capisco che può sembrare un po’ il gioco delle scatole cinesi o delle tre carte, senza entrare nel merito – non ne ho le competenze – di chi scrive (o di chi disegna) le leggi mi soffermo su ciò che è in dibattito anche per evidenziare ulteriormente come la discussione parlamentare non sia limitata solo a quello che anche la Litizzetto (che mi diverte pure) ha promosso a “Che tempo che fa” (o “che bel tempo che fa” come dice il nostro concittadino Nino Frassica) e cioè a normare una violenza. Secondo questo 3° comma “le Scuole” (senza indicare un ordine e un grado, quindi tutte a partire da quelle che hanno bimbi dai 3 anni di età) sono tenute (non è facoltativo) a promuovere non l’ideologia gender (termine che crea polemiche) ma le cosiddette Identità di genere (termine normato dal DDL Zan) secondo la (non) definizione che la stessa legge riserva a esse all’art. 1. Anche qui, da genitore, mi domando: secondo la normativa scolastica vigente, il Piano dell’Offerta Formativa, di cui parla il DDL, deve essere approvato anche dai genitori nella loro rappresentanza in seno al Consiglio d’Istituto; riguardo invece al “Patto educativo di corresponsabilità” il DPR 235/2007 così lo definisce: “è il documento che deve essere firmato da genitori e studenti contestualmente all’iscrizione nella scuola secondaria di I grado che enuclea i principi e i comportamenti che scuola, famiglia e alunni condividono e si impegnano a rispettare. Coinvolgendo tutte le componenti, tale documento si presenta dunque come strumento base dell’interazione scuola-famiglia”. Parliamo in questo caso di scuole medie. Ma cosa succederebbe se alcuni genitori nel sottoscrivere il PTOF o tale patto educativo si direbbero contrari a inserire programmi finalizzati a promuovere le identità di genere? Siamo in democrazia, la maggioranza vota e la scuola applicherà ciò che la maggioranza deciderà. Aldilà che tali genitori l’abbiano avuta “vinta” o “persa”, questi potrebbero essere passibili di denuncia da parte di terzi genitori che (vittoriosi o vinti anch’essi) riterrebbero tale comportamento discriminatorio o non idoneo secondo quanto stabilito all’art. 4 del DDL Zan? Potrebbero, quindi, ritrovarsi in Tribunale per aver detto cosa credevano più opportuno per l’insegnamento dei propri figli, pur chiaramente dovendosi
comunque democraticamente rimettere a quanto la maggioranza decide?

Vedete, pertanto, che la situazione è abbastanza “complessa”. Come d’altronde non potrebbe esserlo un provvedimento legislativo con richiami costituzionali e tendente a normare comportamenti e scelte personali? Le scritte pro o contro nelle mani, ZAN piuttosto che NAZ, miriadi di propagande social copia-incolla non aiutano in discussioni così complesse. Non colpevolizzo nessuno, anche quelle sono espressioni di libertà, ma ritengo civicamente doveroso porre la discussione partecipativa – anche con i propri limiti, come la mia adesso – cercando di analizzare il più possibile ogni aspetto, nelle sedi opportune, confrontandosi con chi ne sa più di noi e lasciando legiferare a chi ne ha il dovere, tenendo conto di tutte le osservazioni pertinenti che possono arrivare (e arrivano) dalle varie parti interessate.
No pro o contro ma incontro