• 22 Novembre 2024 15:56

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Ddl-autonomia: cosa prevede, i rischi per il Paese e la partita politica

Il ddl sull’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario è una legge ordinaria, non costituzionale, che si propone di attuare il Titolo V della Costituzione. In 11 articoli definisce le procedure legislative e amministrative per l’applicazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione. In particolare, definisce le procedure per definire le intese tra lo Stato e quelle Regioni che chiedono l’autonomia differenziata.

Le materie

Le materie sono 23, comprese la salute . Ma ci sono anche istruzione, ambiente, energia, sport, trasporti, commercio estero, cultura. Quattrodici tra esse, definiti diritti civili e sociali, sono materie per le quali occorre rispettare i Lep, Livelli essenziali di prestazione.

I Lep

La concessione di una o più “forme di autonomia” è subordinata, per le materie che implicano prestazioni sociali ai cittadini, come la sanità, alla determinazione dei Lep, Livelli essenziali delle prestazioni, una sorta di “livello minimo garantito” su tutto il territorio. Il governo entro 24 mesi dall’entrata in vigore del ddl dovrà varare uno o più decreti legislativi per determinare livelli e importi dei Lep.

I criteri per trasferire funzioni

L’articolo 4, modificato in Aula al Senato da un emendamento di FdI, stabilisce che l’autonomia alla Regione che la chiede sarà concessa solo successivamente alla determinazione dei Lep e nei limiti delle risorse rese disponibili per i Lep in legge di bilancio.

I tempi per le Regioni interessate

Stato e Regioni, una volta avviati i negoziati, avranno tempo 5 mesi per arrivare a un accordo che dovrà passare sia in Cdm, sia in Conferenza Stato-Regioni sia in Parlamento. Le intese potranno durare fino a 10 anni e poi essere rinnovate. Oppure potranno terminare prima con un preavviso di almeno 12 mesi.

La clausola di salvaguardia

L’undicesimo articolo prevede la clausola di salvaguardia che consente al governo di usare il “potere sostitutivo” . Il governo cioè può sostituirsi agli enti locali quando si riscontri che essi siano inadempienti sulle materie per le quali hanno ottenuto l’autonomia.

Questioni economiche e istituzionali aperte

Sull’autonomia differenziata c’è un problema di tenuta dei conti evidenziato dall’Ufficio parlamentare di bilancio. A prescindere dalle funzioni trasferite alle Regioni, l’Upb ha chiesto «una valutazione preliminare dell’impatto finanziario del trasferimento» delle funzioni alle Regioni. L’Upb ricorda che il ddl Calderoli identifica tre tipi diversi di funzioni trasferibili alle Regioni: quelle legate a diritti civili e sociali richiedono una preventiva definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), ma non lo stanziamento di risorse aggiuntive di bilancio; altre funzioni riguardanti diritti richiedono la definizione di Lep ed anche lo stanziamento di risorse di bilancio aggiuntive; e infine funzioni che non richiedono la preventiva definizione di Lep, e che saranno devoluti alle regioni entro i limiti delle attuali risorse. Ma il Servizio di Bilancio, in un dossier pubblicato anche sul sito della Camera, ha osservato che per tutte le funzioni «la presenza di disposizioni di carattere generale, applicabili a prescindere dalle funzioni trasferite, impongono comunque quanto meno una valutazione preliminare dell’impatto finanziario del trasferimento». Sempre l’Upb, rispondendo a diverse domande dei gruppi parlamentari, ha evidenziato inoltre che «la prima difficoltà risiede nel fatto che la denominazione delle materie rilevanti per l’autonomia differenziata non consente di individuare con precisione quali funzioni attualmente svolte dallo Stato possano essere oggetto di potenziali richieste di gestione autonoma da parte delle Regioni».

La partita politica

La contemporaneità tra il primo “sì” del Senato al premierato e il “sì” definitivo della Camera all’autonomia differenziata conferma come le due riforme – la prima voluta da Fdi, la seconda dalla Lega – procedano in contemporanea. Ora per l’autonomia si apre la partita dell’applicazione concreta, che durerà il tempo necessario a chiudere in Parlamento il percorso dell’elezione diretta del premier. Le opposizioni sono per il contrasto duro ad entrambe le riforme. Non solo in piazza. E’ infatti già scritto che il premierato avrà bisogno di un referendum confermativo che rappresenterà una sorta di bivio per la legislatura. Ma è prevedibile che anche la legge sull’autonomia differenziata sarà oggetto di un’iniziativa per giungere ad un referendum abrogativo.

La nota della Cei: custodire l’unità del Paese

Il 24 maggio il Consiglio episcopale permanente ha pubblicato una nota sull’autonomia differenziata che ha un incipit molto chiaro: «Il Paese non crescerà se non insieme. Questa convinzione ha accompagnato, nel corso dei decenni, il dovere e la volontà della Chiesa di essere presente e solidale in ogni parte d’Italia, per promuovere un autentico sviluppo di tutto il Paese. È un fondamentale principio di unità e corresponsabilità, che invita a ritrovare il senso autentico dello Stato, della casa comune, di un progetto condiviso per il futuro. Sono parole molto attuali anche oggi, in cui si discutono le modalità di attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario, secondo quanto consentito dal dettato costituzionale. Ed è proprio la storia del Paese a dirci che non c’è sviluppo senza solidarietà, attenzione agli ultimi, valorizzazione delle differenze e corresponsabilità nella promozione del bene comune…»