• 21 Novembre 2024 20:42

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Dai beni confiscati alle mafie le coop creano 3mila posti di lavoro

Tra la confisca di un bene alla criminalità e la sua assegnazione a un’organizzazione che possa gestirlo per il bene della comunità passano in media cinque anni. Tempi lunghi che chiaramente non favoriscono il riscatto economico e sociale dei territori. «Dobbiamo affinare i nostri strumenti e accrescere il dialogo tra istituzioni e il mondo economico e sociale» ha confermato Gateano Mancini, vicepresidente di Confcooperative con delega ai beni confiscati, durante un incontro a Roma al Palazzo della Cooperazione per fare il punto sul contributo che le cooperative danno al rilancio dei beni strappati alle realtà criminali.

Le coop impegnate nella gestione dei beni confiscati sono 200, occupano 3mila persone e fatturano 100 milioni di euro all’anno. Ricchezza che resta sul territorio (spesso sono coop impegnate sull’inclusione lavorativa dei più fragili) Sono in genere imprese di piccole dimensioni, ma ben strutturate dal punto di vista finanziario. Nel 60% dei casi lavorano al Sud. Secondo i dati raccolti dal centro studi di Confcooperative, i beni confiscati affidati alle coop valgono 40 milioni di euro. Si tratta per quasi la metà dei casi (48%) di immobili: ville, appartamenti, anche interi palazzi. Per il 28% sono terreni agricoli, negli altri casi strutture commerciali, industriali o turistiche. Le coop li usano in prevalenza (34% dei casi) come luoghi di accoglienza e integrazione, incluso l’housing sociale. Nel 25% dei casi l’uso è invece agricolo, nel 12% gli spazi sono dedicati alla formazione e nel 10% dei casi a commercio, artigianato o ristorazione.

All’incontro quattro cooperative hanno portato la loro esperienza: Verbumcaudo, che nel Palermitano ha ridato vita a terreni agricoli sequestrati alla mafia; Goel, che ha base a Roccella Ionica ed è attivo nel campo sociale e sanitario; Al di là dei sogni, che a Sessa Aurunca si occupa di inserimento lavorativo di persone fragili lavorando terreni sequestrati alla camorra; Semi di Vita, che a Bari fa formazione e inserimento lavorativo con orti sociali e serre.

«Il nostro obiettivo è agire con sempre maggiore determinazione per la rinascita di beni e aziende confiscate alla criminalità» ha detto Mancini, che ha portato quattro proposte a politica e organizzazioni per rendere più efficace l’azione sui beni confiscati: maggiore dialogo tra istituzioni e privato sociale; strumenti e risorse per stimolare i progetti; azioni specifiche per sostenere l’occupazione “sana”; rimessa a coltivazione dei terreni agricoli confiscati, nel rispetto di tradizioni e colture. «Non vogliamo offrire solo proposte ma anche risorse. Confcooperative, il fondo mutualistico e le fondazioni bancarie possono unire le forze per concentrare le risorse in bandi più utili per le imprese» ha ricordato Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative.

«Le cooperative dei lavoratori che si sono costituite all’interno di un bene confiscato possono avere in comodato gratuito da parte dell’agenzia la concessione del bene per un certo numero di anni per lo svolgimento della propria attività. Ci riappropriamo di un bene che era stato gestito dalla criminalità. Ha un significato di grande importanza – ha commentato Bruno Corda, direttore dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata -. Ci stiamo riappropriando della titolarità del mercato del lavoro falsato attraverso le attività della criminalità organizzata che ha acquisito personale promettendo e creando consenso all’interno del territorio. Questo è un fattore ideologico molto rilevante. Credo che la cooperazione debba fare uno sforzo in più, sta facendo già tanto, ma ci sarà tanto ancora da fare».