Ciò che deve preoccuparci e impegnarci è la tendenza ad assecondare forme di devozione che sembrano ispirate a una deificazione idolatrica di Maria e dei santi. Il che diviene ancor più preoccupante se si pensa alla strumentalizzazione mafiosa di simboli ed esperienze di fede. L’atteggiamento mafioso, infatti, non riguarda solo la corruzione, la malavita, le connivenze di poteri dello Stato collusi, perché si tratta di uno stile di vita che include anche la religione e il rapporto col sacro, insinuandosi ed inquinando la stessa pietà popolare. Si pensi alle infiltrazioni mafiose nelle processioni e nelle feste patronali e agli inchini delle statue davanti alle abitazioni dei boss.
In diverse occasioni, l’ultima a firma di Marino Niola, apparsa su La Repubblica del 21 agosto, si imputa al Cristianesimo, nella sua forma cattolica, una sorta di compromesso col paganesimo, a partire dal culto dei santi e di Maria. Di qui il suggestivo titolo sulla dea in esilio vestita da Madonna. La dea sarebbe Iside, madre di Horus e sposa di Osiride, denominata in ambito pagano theotokos = madre di Dio, stesso sintagma attribuita a Maria di Nazaret nel Consilio di Efeso (431 d. C.). Non si tratta di una semplice trasposizione o deificazione della Madonna, bensì di un profondo e radicale cambiamento di prospettiva. Se una dea può normalmente generare un dio e una donna un uomo, qui al contrario si afferma che una donna ha generato Dio. Particolarmente significativo a riguardo il libro di Massimo Cacciari, “Generare Dio” del 2017. Il paradosso è evidente e risponde in pieno alla logica cristiana che si qualifica appunto come paradossale.
Allo stesso modo, i santi non possono essere considerati come trasposizione cristiana delle divinità pagane, protettrici di vari aspetti dell’esistenza. Piuttosto si tratta di mostrare come il Vangelo non sia un’utopia irrealizzabile, ma può essere incarnato nelle diverse epoche della storia, da diversi soggetti a qualsiasi genere o condizione appartengano o a qualsiasi età, uomini o donne, bambini, adolescenti, adulti, persone consacrate o sposate, insomma tutti volendo possono partecipare alla santità, come realizzazione radicale del messaggio evangelico in forme diverse e specifiche. Oggi, per esempio, è molto seguito il culto del beato Carlo Acutis, un adolescente che ha vissuto in pieno il suo stato, compreso l’interesse per la comunicazione digitale. Il testo evocato da Goethe nell’incipit dell’articolo di Niola si inscrive in un contesto e orizzonte neo-pagano, quale quello in cui si può autenticamente interpretare il pensiero del grande poeta tedesco.
Dunque, Maria e i santi non sono da intendersi e venerarsi come surrogati delle dee e degli dei del paganesimo, ma come loro inveramento, perché rimane vero che il Cristianesimo delle origini non ha sconfitto del tutto l’istanza pagana. Questa, compresa in profondità e in relazione all’antropologia, esprime un senso della pluralità e della concretezza immaginativa (ad esempio nella mitologia) che, come cristiani, non possiamo soltanto rifiutare o semplicemente ignorare. Tale prospettiva attiene ad esempio alla forma cattolica della fede cristiana, cui il protestantesimo, magari rivolto alle sue devianze, rifiuta radicalmente. In tal senso il cattolicesimo si presenta come una realtà squisitamente “popolare”, anche perché accoglie, intercettandola e assumendola (non sempre criticamente), la devozione/pietà del cosiddetto e tanto disprezzato “popolino”.
Ciò che deve preoccuparci e impegnarci è la tendenza ad assecondare forme di devozione che sembrano ispirate a una deificazione idolatrica di Maria e dei santi. Il che diviene ancor più preoccupante se si pensa alla strumentalizzazione mafiosa di simboli ed esperienze di fede. L’atteggiamento mafioso, infatti, non riguarda solo la corruzione, la malavita, le connivenze di poteri dello Stato collusi, perché si tratta di uno stile di vita che include anche la religione e il rapporto col sacro, insinuandosi ed inquinando la stessa pietà popolare. Si pensi alle infiltrazioni mafiose nelle processioni e nelle feste patronali e agli inchini delle statue davanti alle abitazioni dei boss: quella che Alessandra Dino in un suo saggio del 2010 chiamava la “mafia devota”.
Non si tratta di semplice folklore, ma di una tentazione perenne con la quale la fede si deve confrontare e che bisogna tentare di sconfiggere in ogni modo e con tutte le risorse disponibili. E la tentazione consiste nella manipolazione del divino e della simbologia cristiana, suggerendo a chi avesse dei dubbi che i capimafia sono dalla parte di Dio e della Chiesa e che Dio e la Chiesa sono dalla loro parte. Sicché possono elargire la loro “protezione”, approfittando soprattutto di momenti di fragilità dei singoli e di disagio sociale ed economico, nonché della latitanza delle istituzioni proprio di fronte a queste emergenze.
La denuncia interpella tutti noi: siamo così sicuri che il nostro rapporto con Dio, Maria, i Santi non sia animato da un atteggiamento idolatrico e mafioso? Esibizione di simboli sacri, devozionismo, bigottismo, attenzione agli aspetti miracolistici e magici della fede cristiana nascondono spesso il desiderio di strumentalizzare il divino, onde piegarlo ai nostri bisogni immediati. E proprio questo si chiama “idolatria”. L’idolo, che si oppone all’icona è un’immagine che si porta dove si vuole e che si manipola a proprio piacimento, l’icona è l’immagine che si contempla, perché ci conduca nell’altrove della grazia. E l’icona del Dio invisibile è il Signore Gesù (Col 1,15), ossia il crocifisso.Di qui la necessità di nutrire la nostra fede con l’ascolto costante della Parola di Dio, piuttosto che col ricorso a devozioni fuorvianti, in quanto quelle autentiche sono tali solo e perché ci invitano alla sequela del Signore secondo il Vangelo.
(fonte agensir.it)