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Covid: anziani in “eterna zona rossa”

C’è chi è uscito indenne dal coronavirus ma da un anno non sa cosa significhi abbracciare i propri cari: chi fortunatamente non si è ammalato ma ha la possibilità poche volte a settimana di scambiare due parole con i figli o i nipoti, e c’è ancora chi li guarda da lontano; una distanza che sa di nostalgia, fa crescere l’inquietudine e genera tristezza.

La Comunità di Sant’Egidio ha raccolto le voci degli anziani, ospiti di 237 strutture in 11 città e 10 regioni italiane. Nella presentazione alla stampa dei risultati ha reso noto cheil 64% delle strutture esaminate non consente alcun tipo di visita ai propri ospiti, e solo il15% ammette, oltre ai parenti, amici e volontari; la cosiddetta stanza degli abbracci, dopo un anno è presente in meno del 20% delle strutture esaminate; in meno della metà delle strutture si ricorre al servizio delle videochiamate; nel 61,18% delle strutture analizzate è proibita ogni tipo di uscita, comprese quelle per effettuare esami medici specialistici; l’assistenza religiosa è assente nel 65% delle case di riposo e delle Rsa.

Sono storie e volti, non numeri

Quello che abbiamo registrato in questa inchiesta è che siamo ancora in zona rossa, – afferma Roberto Bortone della Comunità di Sant’Egidio – mentre in Italia è in zona gialla”. A preoccupare è anche la situazione di molti anziani completamente soli, che non vedono nessuno, la difficoltà di effettuare visite mediche nonostante i dispositivi di sicurezza o il vaccino effettuato. “Questi – sottolinea Bortone – non sono solo numeri, sono storie, sono volti, sono persone, sono migliaia di anziani chiusi da un anno in queste strutture”. Una situazione che si ripercuote sui famigliari lontani dai genitori e dai nonni. La Comunità di Sant’Egidio parla di “un ingiusto isolamento vissuto dagli anziani” perché mentre “per tante altre realtà del nostro Paese – spiega Roberto Bortone – si sta procedendo ad una graduale riapertura in sicurezza, per gli anziani, nonostante ci siano delle indicazioni chiare, le strutture di fatto non hanno messo in piedi alcun strumento che consenta la riapertura in sicurezza”.

Sono diverse le opzioni che Sant’Egidio mette sul tavolo come la possibilità per chi vi accede di avere dei dispositivi di protezione, di effettuare un tampone così come viene fatto per tanti altri luoghi. “E’ fondamentale che vengano considerate le fragilità degli ospiti che non hanno alcun legame affettivo che non sono pochi. Ci sono spazi interni ed esterni che potrebbero essere facilmente adeguati”. Altro punto critico è la durata delle visite, spesso breve, o di mattina quando è impossibile farle per chi lavora. “Chiaramente quello che chiediamo è una riflessione più ampia, più profonda sul nostro sistema di assistenza che non può reggersi solo ed esclusivamente con l’offerta residenziale all’interno delle strutture, ci vuole un’alternativa così come è stata indicata nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. Una soluzione che permetta l’assistenza domiciliare integrata ed altri servizi come la telemedicina, i servizi di monitoraggio che permetta agli anziani più fragili di vivere a casa propria, nel domicilio, sul proprio territorio, essendo assistiti adeguatamente, e se non hanno un’abitazione si prevedano anche sistemi di convivenza e di cohousing”.

Il dolore di molti

Il rappresentante della Comunità di Sant’Egidio sottolinea che le storie raccolte sono state molto dolorose, con anziani che in questo anno si sono lasciati andare e hanno smesso di mangiare, hanno smesso di trovare una motivazione per cui vivere proprio perché non potevano ricevere neanche una telefonata, un videomessaggio, sentire la presenza di un familiare. “Con questa inchiesta, abbiamo avuto in qualche modo dar voce alle storie che sono veramente tante e tutto emblematiche della situazione che gli anziani vivono”.

“Purtroppo – conclude Bortone – la pandemia ha chiaramente dimostrato che le Rsa e le case di riposo non sono luoghi di protezione, tutt’altro”. (Fonte Vaticannews)

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